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“Nessuna autonomia senza prima una legge quadro che definisca livelli di prestazioni essenziali per sanità, servizi sociali, istruzione, non autosufficienza e ambiente uguali per tutto il Paese. No allo spezzatino dei diritti, no alla secessione”. La posizione della Cgil sulla richiesta di “autonomia” proveniente da alcune Regioni a statuto ordinario (Lombardia e Veneto, in primis), espressa dal segretario confederale Rossana Dettori, è molto netta: senza una legge nazionale che garantisca l'uniformità di accesso ad alcuni diritti civili e sociali, il riconoscimento di maggiori forme di autonomia si tradurrebbe in un'ulteriore crescita delle diseguaglianze.
La Cgil evidenzia come su molti capitoli la disomogeneità di trattamento sia già una realtà pesante e molto preoccupante. In un recente report sul tema si evidenzia come sia “eccessiva la differenza nella garanzia fornita dai livelli essenziali di assistenza”: se un’adeguata esigibilità dei servizi sanitari si attesta a quota 160 (come si evince dall'indicatore messo a punto dal ministero della Salute), Calabria e Campania registrano rispettivamente 144 e 124, contro il 209 del Veneto, il 208 della Toscana e il 207 del Piemonte. Poco sopra la garanzia minima si collocano la Puglia (a quota 169), il Molise (164) e la Sicilia (163). Uno squilibrio confermato dal saldo della mobilità sanitaria: i dati mostrano che “troppi cittadini sono costretti a emigrare alla ricerca di una assistenza adeguata”. Sono sette le Regioni (Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Umbria e Molise) che accolgono questo flusso in arrivo, mentre le restanti Regioni “esportano” cittadini alla ricerca di un’assistenza corrispondente alle proprie necessità. Ed è la Calabria a pagare il maggior costo di questa migrazione, oltre 161 euro pro capite, seguita da Basilicata (76 euro), Abruzzo (54), Campania (51), Lazio e Sardegna (49), Sicilia (47).
“Non siamo contrari al fatto che si possa intervenire per normare bisogni particolari di qualche territorio, già è stato fatto. Ma è diverso ragionare di un centralismo regionale dove lo Stato centrale è di fatto sostituito”, riprende Dettori, rigettando anche l'ipotesi, avanzata da alcune Regioni, di reimpiegare nel territorio la maggior parte del gettito fiscale raccolto. “Abbiamo chiesto alle Regioni e al ministro – conclude il segretario confederale Cgil – di ragionare su come rispondere ai bisogni reali di una maggior vicinanza delle istituzioni ai cittadini, ma senza favorire uno spezzatino dei diritti. L'autonomia vera non è separatismo. Ma il governo è sordo e il confronto con le parti sociali è pari a zero su questo tema, come su altri fronti”.
Tornando al report della Cgil, anche il capitolo servizi sociali è tra quelli che l'autonomia differenziata potrebbe aggravare pesantemente: l'assistenza agli anziani over 65, sempre secondo la rielaborazione, vede pesantemente assenti il Lazio, la Puglia, la Calabria e la Sicilia “con uno scostamento non accettabile”. Ma anche il supporto alla famiglia non è da meno: sul fronte asili nido, l'obiettivo di una copertura del 33 per cento di posti disponibili è raggiunto solo dall'Emilia Romagna, mentre tutte le altre Regioni si attestano su livelli inferiori, con una media di 25 posti per 100 bambini, con punte di sostanziale assenza del servizio pubblico in Campania.
Allarme anche per l'istruzione. La Cgil evidenzia che il tasso di abbandono scolastico tra i 18 e i 24 anni, che a livello nazionale è il 14 per cento, registra in alcune Regioni del Sud medie molto più alte (il 21 per cento in Sardegna, il 20,9 in Sicilia, il 19,1 in Campania, il 18,6 in Puglia, il 16,3 in Calabria). Discorso analogo per il diritto allo studio universitario: nell'anno accademico 2016-2017 la copertura delle borse di studio ha raggiunto il 95,7 per cento degli idonei aventi diritto, ma solo il 67 per cento in Calabria e l’81,3 in Sicilia. Infine il capitolo lavoro: alla vigilia del reddito di cittadinanza, la rete dei servizi pubblici per l'impiego resta assolutamente deficitaria sia nel rapporto operatori/popolazione adulta, pari a 1/113, sia per la dotazione informatica insoddisfacente per il 70 per cento dei Centri per l’impiego del Mezzogiorno e in oltre 173 delle altre aree.