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Il 18 dicembre del 1922 - con l’irruzione di una cinquantina di camicie nere, capitanate dal federale Pietro Brandimarte, all’interno della Camera di Lavoro della città - inizia quella che viene ricordata come "La strage di Torino". Nelle giornate tra il 18 e il 20 dicembre le squadre fasciste aggrediscono diversi militanti delle organizzazioni popolari, uccidendo 11 antifascisti e causando decine di feriti. Ad essere colpiti sono operai, sindacalisti, militanti comunisti.
Tra questi anche Pietro Ferrero, sindacalista anarchico, segretario della Fiom di Torino. “Il mattino del 18 - scrive Giuseppe Sircana - durante il primo assalto alle sedi sindacali Ferrero fu malmenato, ma benché sanguinante e malconcio riuscì a fuggire. Ai suoi compagni che gli consigliavano di lasciare la città rispose che sarebbe partito dopo aver messo al sicuro la cassa della Fiom.
La sera, verso le 22, incontrò alcuni redattori dell’Ordine nuovo, tra cui Mario Montagnana e Andrea Viglongo che gli raccomandarono di non andare a casa, ma di farsi ospitare da qualche amico. Anche stavolta Ferrero assicurò che sarebbe stato prudente. Di lì a poco però, forse perché attirato dallo scoppio delle granate incendiarie, si diresse verso la Camera del lavoro. L’edificio era avvolto dalle fiamme e i fascisti erano lì davanti che contemplavano la loro impresa tra urla e canti. Ferrero fu riconosciuto e catturato.
II suo corpo venne trovato dopo mezzanotte sotto la statua di Vittorio Emanuele II, in un lago di sangue. Gli abiti a brandelli, la faccia maciullata, dimostravano le atroci sevizie a cui era stato sottoposto. Dopo essere stato percosso e ferito il segretario della Fiom fu infatti legato per i piedi a un camion e trascinato sul selciato di corso Vittorio. Il riconoscimento del cadavere fu possibile grazie a un documento che aveva in tasca”.
Insieme a Pietro Ferrero cadranno Carlo Berruti, segretario del Sindacato ferrovieri e consigliere comunale comunista, Leone Mazzola, Giovanni Massaro, Matteo Chiolero, Andrea Chiomo, Emilio Andreoni , Matteo Tarizzo, Angelo Quintagliè, Cesare Pochettino, Evasio Becchio.
Brandimarte, quasi due anni dopo, il 24 giugno 1924 dichiarerà al Popolo di Roma che la rappresaglia era stata “ufficialmente comandata e da me organizzata (…) noi possediamo l’elenco di oltre tremila nomi sovversivi. Tra questi tremila ne abbiamo scelto 24 e i loro nomi li abbiamo affidati alle nostre migliori squadre, perché facessero giustizia”. Al giornalista, che gli faceva notare che la prefettura aveva comunicato un numero inferiore di vittime, il gerarca rispondeva: “Cosa vuole che sappiano in questura e prefettura? Io sarò ben in grado di saperlo più di loro (…) gli altri cadaveri saranno restituiti dal Po, seppure li restituirà, oppure si troveranno nelle fosse, nei burroni o nelle macchie delle colline circostanti”.
“Sulla tragedia di Torino scenderà assai prima il silenzio che l’oblio - scriveva l’Avanti il 23 dicembre 1922 - Il silenzio è comandato dalla tristizia stessa dei tempi; l’oblio non potrà farsi finché il proletariato non avrà placate le ombre invendicate realizzando il loro sogno di liberazione. I due morti di parte fascista furono condotti all’estrema dimora tra onoranze che assunsero l’aspetto di una apoteosi. I dodici umili morti saranno trasportati al cimitero furtivamente, senza seguito di amici, senza discorsi, senza fiori. Così si usava, quando vigeva la pena capitale, per i delinquenti giustiziati dalla mano del boia. Così si usa oggi per innocenti, uccisi a sangue freddo in espiazione di una colpa commessa da altri. Non importa. La memoria degli uomini scomparsi non dura in proporzione degli onori resi alle loro salme, ma in ragione dell’eredità di affetti che lasciarono dopo di sé”.