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Il 2 dicembre del 1968 ad Avola, in provincia di Siracusa, una manifestazione a sostegno della lotta dei braccianti per il rinnovo del contratto di lavoro finisce nel sangue: la polizia apre il fuoco e due lavoratori - Giuseppe Scibilia, di 47 anni, e Angelo Sigona, di 25 - vengono uccisi. Circa cinquanta saranno i feriti, due gravi.
“Fa freddo - scriveva sulle colonne de L’Espresso Mauro de Mauro - La statale 115 è in parte gelata. Ma dà un senso di gelo maggiore il doversi occupare ancora, dopo venticinque anni di lotte sindacali, di braccianti caduti sotto le raffiche della polizia. Stavano scioperando per difendere diritti e interessi elementari. (…) Adesso, alle undici di sera, Avola sembra un paese di fantasmi. Dalle due del pomeriggio la vita si è fermata, i negozi hanno abbassato le saracinesche in segno di protesta e di lutto, le due sale cinematografiche hanno chiuso. Una folla immobile e muta indugia sulla piazza principale dove poco fa il sindacalista Agosta ha tenuto un comizio a nome della Federazione dei braccianti. In giro non si vede neppure una divisa. È come se l’intero paese stesse aspettando di riprender contatto con una realtà che tuttora appare incredibile. Ma il cordoglio, come del resto la destituzione del questore di Siracusa Vincenzo Politi o le deplorazioni ufficiali, evidentemente non bastano”.
“Assassinare oggi i lavoratori che scioperano e manifestano - tuonava la Cgil - riporta indietro la situazione politico-sociale del Paese. Un monito la Cgil indirizza al governo, che risponde della repressione e dell’uccisione, e un appello essa rivolge inoltre a tutte le forze politiche; basta con questi metodi, che aggravano la tensione sociale già in atto e che contrastano con lo sviluppo democratico e civile del Paese, oggi rivendicato da crescenti masse di lavoratori, di giovani, di cittadini”.
Centinaia di migliaia di operai, contadini, studenti esprimeranno la loro protesta, partecipando in tutto il Paese a scioperi, cortei e manifestazioni in modo possente e unitario, ponendo in primo piano la necessità e l’urgenza di imporre il disarmo delle forze di polizia e di garantire le libertà sindacali.
“Io credo - dirà Luciano Lama, nel dicembre del 1968 segretario confederale - che all’atto della formazione di un nuovo governo, che parla di Statuto dei diritti dei lavoratori e costituisce addirittura apposite commissioni tripartite per esaminarli, due cose vadano stabilite preliminarmente: il disarmo della polizia nel servizio di ordine pubblico e la concessione a tutti i cittadini di piena libertà di sciopero. Altrimenti parlare di Statuto dei diritti dei lavoratori diventa una presa in giro”.
Nel dicembre del 1968 Giacomo Brodolini viene nominato ministro del Lavoro e della Previdenza sociale del primo governo Rumor. Il 4 gennaio 1969 affermerà:
Se il mio primo impegno assunto quale ministro del lavoro è stato quello di venire ad Avola (il neo ministro aveva trascorso la notte del precedente capodanno con i lavoratori della fabbrica romana Apollon ndr) ciò non è avvenuto a caso. Era mio dovere rendermi conto di come situazioni economiche e sociali, che appartengono ad un’altra società e ad un altro secolo, ancora gravino sulla Sicilia e chiedano, soprattutto a chi ha la responsabilità delle maggiori decisioni, la attuazione urgente di politiche in grado di creare le condizioni per un definitivo superamento di ingiustizie antiche che suonano scandalo per un Paese civile, progredito, che voglia essere socialmente avanzato. I cosiddetti fatti di Avola non sono un evento occasionale ma il frutto di una condizione di arretratezza secolare che non può più attendere lente maturazioni. Non potremmo comprendere i motivi di quanto è avvenuto il 2 dicembre del 1968 se non fossimo in grado di intendere i problemi della Sicilia, così come storicamente si sono configurati, e non sapessimo estrarre da essi un giudizio severamente critico sull’azione stessa dei pubblici poteri dall’unità d’Italia a oggi. (…) Ma il governo della Repubblica fondata sul lavoro può e deve fornire una diversa risposta. (…) Ecco quindi che i problemi caratteristici del Mezzogiorno e delle aree depresse: insufficiente industrializzazione, disoccupazione, sottooccupazione, sottosalario, insufficiente salvaguardia dei diritti dei lavoratori sanciti dalla Costituzione e dalla legge e definiti nei contratti collettivi richiedono soluzioni che non debbono rimanere scritte nei programmi dei partiti e dei governi ma tradursi in concreti provvedimenti ed in politiche reali. (…) Ma i drammatici avvenimenti che hanno scosso Avola e la nazione tutta per la carica dirompente che essi hanno, sollevano anche altri problemi che pur presentandosi con particolare gravità in queste ed altre zone del Mezzogiorno, sono problemi di ordine generale che riguardano direttamente un impegno del Ministro del Lavoro in quanto tale e a nome del governo di cui fa parte ed è espressione. Nella realizzazione del programma di governo, io desidero in primo luogo ribadire l’impegno di attuazione dello Statuto dei lavoratori e cioè di una politica legislativa per i lavoratori che si deve articolare in una serie di leggi. a) Si tratta in primo luogo di riconoscere uno statuto al sindacato nell’impresa quale normale e necessario interlocutore della parte imprenditoriale e saranno predisposte norme dirette a facilitare la contrattazione collettiva e la soluzione delle vertenze perché non debba ripetersi quanto è avvenuto ad Avola; saranno inoltre garantiti e tutelati i diritti della personalità del lavoratore nei posti di lavoro; b) si intende rendere effettiva la tutela dei diritti dei lavoratori promuovendo anche un sistema di giustizia del lavoro rispondente alle esigenze di giustizia di un Paese civile; c) sarà prevista una adeguata tutela delle categorie sottoprotette specialmente necessaria nei settori nei quali la difesa sindacale è più debole; d) si procederà ad adeguare il sistema di formazione professionale oggi vigente alle esigenze di una politica attiva della mano d’opera inserita nel più generale contesto di una politica di piano. ... Se vogliamo che il sangue di lavoratori come Giuseppe Scibilia e Angelo Sigona non abbia più a scorrere come conseguenza di conflitti di lavoro, dobbiamo allora garantire alla forza pubblica mezzi adeguati ma che non siano tali da provocare nocumento all’integrità fisica e alla vita delle persone. Questo episodio si iscrive nella storia tanto frequentemente punteggiata dalla tragedia e dal martirio, dalla lotta per il progresso dei lavoratori e della società. Ma noi dobbiamo fare in modo che tali sacrifici non debbano ripetersi. Assumo dinanzi a tutti solennemente l’impegno di fare, con netta determinazione, quanto è possibile fare per affermare in modo profondo i valori della giustizia e della libertà nei rapporti di lavoro e nelle condizioni dei lavoratori.
Per quelli che sono passati alla storia come "i fatti di Avola" non c’è mai stato un processo, non è mai stato individuato un colpevole. “Non ce l’ho certo con lo Stato, noi abbiamo sempre avuto fiducia nello Stato, mio figlio è un poliziotto, ma vorremmo sapere chi è stato, chi ha ucciso mio padre e perché”, continua a chiedere Paola Scibilia, figlia di Giuseppe. Una domanda alla quale sarebbe bello poter dare una risposta. Perché qualcuno è Stato.