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Le notizie dell’arresto di Benito Mussolini e della formazione del Governo Badoglio il 25 luglio 1943 sono accolte in tutt’Italia con manifestazioni di giubilo. Il Paese scende in piazza divellendo e i simboli del vecchio regime ed inneggiando alla democrazia e alla pace. Scrive Aldo De Jaco: “Quando s’apprese la notizia, attraverso la radio, che il cavaliere Benito Mussolini era stato arrestato e Badoglio lo aveva sostituito - non si conoscevano in quel momento tutti gli intrighi, i contrasti e le paure che avevano portato a quel ‘modo’ di liquidazione del fascismo e al proclama del 'la guerra continua' -, quando si sparse per l’Italia l’eco degli avvenimenti di Roma tutti gli italiani, nelle fabbriche, negli uffici, nelle piazze, nelle campagne, ne trassero subito la logica conseguenza: arrestato Mussolini era finito il fascismo e finita anche la sua guerra. Paesi e città si riempirono di gente che manifestava, una folla di mani si levò a svellere i simboli della dittatura, ci si abbracciava per strada, si cantava assieme, si rideva... I fascisti avevano nascosto divise e camicie nere ma nessuno pensava in quel momento a vendicare i venti anni di sofferenze, tutti pensarono invece a come uscirne e dunque a come uscire subito dalla guerra, a come riappropriarsi della propria patria semidistrutta. Dal 26 al 28 luglio gli operai, in particolare al nord, scesero in sciopero generale, riempirono le piazze per festeggiare la caduta del fascismo e chiedere pace. E la monarchia e il suo governo di militari ebbero paura di questi cortei, di questa folla in festa e diedero ordine di piantonare e difendere gli uffici pubblici - comprese le sedi fasciste - e di sparare sui manifestanti se si avvicinavano”.
Anche a Reggio Emilia gli operai delle Reggiane accolgono la notizia della caduta del fascismo con una manifestazione che rivendica la fine della guerra. Il 28 mattina aprono i cancelli della fabbrica per marciare verso il centro della città, ma un reparto di militari appostato lì davanti li fronteggia e spara, uccidendo nove persone (tra di esse anche una donna incinta) e ferendone una trentina. “Quel giorno c’ero anch’io - ricordava Fernando Cavazzini - E da quel giorno sono diventato una persona diversa. Avevo vent'anni e una grande voglia di lavorare, prima di quella giornata che a qualcuno ha rubato la vita, ad altri l’ha cambiata per sempre. Io ho deciso che sarei entrato nelle fila dei partigiani. Lo sentivo come un dovere. Così l’8 marzo me ne sono andato in montagna insieme ad altri 27 partigiani. Tra i monti, nome di battaglia Tony, sono rimasto 14 mesi, fino al 25 aprile 1945, quando con la mia squadra - i sabotatori “Demonio” - ho aperto l’ingresso dei partigiani in città”.
Cinque anni dopo la Liberazione, nel 1950, nelle stesse Officine Meccaniche Reggiane, a fronte di un piano di 2.100 licenziamenti, inizierà la più lunga occupazione di una fabbrica da parte degli operai della storia italiana. Nel novembre del 1950 Giuseppe Di Vittorio, nel consegnare alla Camera del lavoro di Reggio il secondo premio della gara di emulazione nazionale per la campagna di tesseramento, affermava: “La vostra condotta non suscita soltanto l’ammirazione dei lavoratori reggiani, ma anche di coloro che comprendono come, difendendo lo stabilimento, si conduce una battaglia per la vita e per la necessità che in Italia ognuno viva del proprio lavoro”. L’occupazione durerà diversi mesi e gli operai festeggeranno in fabbrica anche il Natale e la Pasqua successiva.
“Il Natale di lotta dei lavoratori delle Reggiane - scriveva Sergio Iori, operaio ed ex partigiano nel proprio diario - è riuscito in pieno superando i pronostici fatti i giorni prima. Stamane lo ziffolo è suonato alle 8.05, il suo suono ha fatto sentire a tutta Reggio la lotta delle Reggiane. Verso le 10 gli operai si sono raccolti in città, questo ha fatto sentire ancor meglio la lotta a tutti i cittadini. Alla mezza i refettori offrivano una bellissima cornice, tavoli lunghi a non finire pieni di bottiglie messe in fila, pane, salame, una mela ed una sigaretta. Il locale era molto confortante, pavesato di bandierine le quali rendevano ancora più brillante la festa. Gli operai hanno mangiato e cantato, da parte dei 700 del corso sono state offerte in atto simbolico quattro torte e precisamente agli operai della Forgia, Fonderia, al comitato di agitazione, alla Cgil. Questi atti hanno riscosso grandi applausi fra tutti i presenti. Con noi vi erano delegazioni varie: Breda, Delta Padano, Bassa Reggiana, eccetera. Inoltre i deputati e senatori democratici, i quali hanno portato con brevi discorsi un grande entusiasmo fra tutti i lavoratori. Si sono poi iniziati gli spettacoli in programma e la distribuzione dei pacchi ai bambini. Infinite colonne di gente si sono portate oggi alle Reggiane, la manifestazione è riuscita in pieno, i nostri avversari sputino pure veleno, la classe operaia ha già scelto”.
In linea con il Piano del lavoro della Cgil nazionale ed a dimostrazione della effettiva convertibilità della produzione da bellica a macchinari per l’agricoltura, nel corso dell’occupazione gli operai progetteranno e produrranno il famoso trattore cingolato ‘R60’. "È nato il trattore R60", titolava nel dicembre 1950 Lavoro: “Il ‘fischione’ delle Reggiane ha emesso il suo primo lamento, ed i passanti frettolosi si sono fermati d’incanto guardandosi tra loro, chi attonito e chi pensoso, mentre gli urli prolungati e intermittenti si susseguivano, fendendo l’aria gelida del mattino. Era il segnale preannunziato. Molti hanno affrettato il passo con la speranza di poter entrare nello stabilimento e di assistere alla singolare cerimonia della colata del metallo fuso e incandescente negli stampi che danno forma e corpo al famoso trattore R60. I celerini sbarravano le numerose porte di accesso alla fabbrica, però quella folla è entrata ugualmente. Tra questa folla vi era una milanese che andava ripetendo con un flemmatico sorriso ‘Chi ha ragione una via la trova sempre’”.
Nel corso dei mesi a fianco dei lavoratori delle Reggiane si schiereranno artisti, politici, rappresentanti del mondo dell’arte e della cultura: Renato Guttuso, Carlo Levi (“Gli uomini di cultura siete voi, perché la vostra lotta è di per sé un grande fatto di cultura… E lo siete per il coraggio di cui date prova, per la probità, per l’amore che portate a questa realtà viva che è la vostra fabbrica. In tal modo voi continuate la tradizione vera della cultura operaia, che si batte per il rinnovamento della struttura sociale”, diceva il 7 luglio 1951), Nilde Iotti, Italo Calvino solo per citarne alcuni.
Scriveva nel giugno 1951 Vittorio Foa: “A Reggio i lavoratori, che sono sulla breccia da oltre otto mesi, continuano la loro lotta senza pari e meritano la solidarietà di tutti i lavoratori italiani. Ma non si tratta più soltanto di solidarietà: si tratta oggi di una effettiva convergenza di interessi e di obiettivi dei lavoratori”. Il mese successivo il Comitato direttivo confederale saluta la delegazione delle Reggiane, venuta a Roma per consegnare a Di Vittorio un’opera artistica in metallo concepita, creata e fusa dai lavoratori stessi. Di Vittorio promette loro che la Cgil raddoppierà i suoi sforzi per estendere il vasto movimento di solidarietà già in atto nel Paese. “Perché la sottoscrizione non è soltanto una iniziativa di operante solidarietà operaia, ma è una vera e propria lotta nazionale per la difesa dell’industria e l’affermazione dell’unità della classe lavoratrice italiana”. L’8 ottobre 1951, guidati dal segretario generale della Cgil con alla testa tre trattori R60, migliaia di operai usciranno dalle Officine Reggiane, decretando la fine dell’occupazione della fabbrica dopo 368 giorni. L’epilogo non vittorioso della vicenda sarà la liquidazione coatta dell’azienda e la riassunzione di soli 700 operai.
“La memoria è un fatto decisivo della persona, senza memoria saremmo solo macchine - diceva nel 2016 commemorando l’eccidio del 28 luglio 1943 l’allora segretario generale della Fiom Maurizio Landini - Memoria è saper leggere i fatti accaduti per attualizzarli. I martiri delle Reggiane fecero un atto, che fu un conflitto sociale, cioè manifestarono - resero cioè evidente - una posizione conflittuale rispetto alla guerra per fermarla e ottenere la pace. Resero esplicito il fatto che per riavere la pace era necessario abbattere il nazi-fascismo. Questo di Reggio Emilia è stato un avvenimento nazionale, non locale, e oggi dobbiamo continuare a leggerlo in questi termini. Questo atto, che fu l’uscita dall’antifascismo come opinione e clandestinità, è stato l’inizio della Resistenza. La comunità dei lavoratori delle Reggiane si contraddistinse perché le lotte condotte non si limitavano alla difesa del diritto al lavoro e dei diritti dei lavoratori: gli operai non lottavano solo per sé. Uscendo da questa dimensione, e fisicamente volendo uscire dai cancelli della fabbrica per manifestare in città, la comunità di conflitto dei lavoratori e delle lavoratrici delle Reggiane lottava per la trasformazione della società di quel tempo, lottava quindi per i diritti di tutti, partendo da una integrazione sociale attraverso il lavoro molto sviluppata in questa fabbrica. Qui, al di là dell’orgoglio reggiano per le Officine Reggiane, sta il rilievo nazionale di questa esperienza di comunità di lavoratori per i diritti e la pace collettivi”.
“Il movimento dei lavoratori - concludeva il segretario - contribuì ad affermare la pace e a fermare la guerra. Ancora oggi, partendo dalla riaffermazione dei diritti nel lavoro e prima ancora del diritto al lavoro, possiamo invertire la rotta nella società, così come da un primo atto di Resistenza - quello del 28 luglio 1943 - si giunse alla scrittura dell’articolo 1 della nostra Costituzione, dedicato alla democrazia fondata sul lavoro. La domanda cruciale, che ora dobbiamo porci, è: quali sono le strategie per cambiare la nostra società? Su questo, nella memoria dei caduti delle Reggiane, dobbiamo misurarci”. Anche oggi, soprattutto oggi.