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Il fenomeno del progressivo invecchiamento della popolazione residente nelle aree interne e la relativa fuga dai piccoli borghi entrano a far parte dei temi prioritari per la ricostruzione del Paese. Il tema non solo è riconosciuto come una delle nuove “questioni” nazionali, ma è anche inserito nella lista degli investimenti per il Piano di resistenza e resilienza (Pnrr). Tra fondi europei e Fondo nazionale è previsto infatti un piano organico di investimenti che porterà nelle aree interne non meno di 2 miliardi nei prossimi sette anni. Per lo Spi, il sindacato dei pensionati della Cgil, è necessario il coinvolgimento diretto delle parti sociali (compresi ovviamente le rappresentanze dei pensionati) e a livello territoriale nei singoli Comuni che saranno interessati (sono state individuate 72 aree). Lo Spi, oltre a rivendicare il suo ruolo nella contrattazione sociale e nel controllo della gestione delle ingenti risorse che stanno per essere investite, si prepara anche a rilanciare le iniziative nei territori per coinvolgere anziani e cittadini. Ne abbiamo parlato con Lorenzo Mazzoli, entrato di recente nella segretaria nazionale dello Spi con varie deleghe. Tra queste c’è anche la questione del ripopolamento dei piccoli centri.
Mazzoli, lo Spi è impegnato da anni su questi temi e insieme a LiberEtà ha prodotto studi e pubblicazioni, oltre che decine di iniziative nei territori. Qual è il quadro attuale? Quanto sono importanti questi temi?
La realtà delle aree interne è identificata istituzionalmente ormai da diversi anni per dare una risposta sociale ed economica ad una parte consistente del Paese. Nelle politiche di coesione, l'attenzione all’indebolimento progressivo di diversi territori dovuto a molteplici fattori, tra questi lo spopolamento e l’invecchiamento della popolazione residente, si è dimostrata una scelta strategica azzeccata. Stiamo parlando di situazioni molto diversificate tra loro, ma che rappresentano i tre quinti dell’intero territorio nazionale. Anche se le situazione sono diversificate, si possono indicare degli elementi comuni: distanza significativa dai centri in cui si erogano servizi essenziali quali quelli per la tutela della salute, per l'istruzione, per la mobilità delle persone. Al contempo si riscontra una presenza considerevole di ricchezza ambientale come risorse idriche, foreste, paesaggi naturali e culturale in termini di beni archeologici, musei, siti storici. Dal 2013, quando l'allora ministro per la coesione territoriale Fabrizio Barca diede l'impulso in tale direzione, si è via via fatto un lavoro di identificazione di tali aree e delle realtà comunali che vi appartengono da parte dell’ Agenzia per la coesione sociale attraverso la Strategia nazionale per le aree interne che ha portato ad identificare 72 aree interne e più di mille comuni nei quali risiedono oltre due milioni di persone. La mappatura evidenzia la presenza di aree interne in maniera preponderante nelle zone appenniniche lungo tutto lo stivale ed in tutte le regioni e province autonome. Le aree colpite dalle calamità sismiche del 2016 e 2017 rientrano in tale identificazione e presentano, ovviamente, una accentuata difficoltà dovuta al forzato allontanamento dai propri luoghi di residenza a seguito delle devastazioni provocate dalle scosse telluriche ed al difficile rientro in molte di quelle realtà considerando le grandi difficoltà e ritardi nell'opera di ricostruzione.
Se questo è il quadro d’insieme, cosa si può dire della progettazione dello Spi per il prossimo futuro? Quali sono le priorità dal vostro punto di vista?
Noi possiamo individuare tre livelli di attenzione. Il primo riguarda il coinvolgimento dello Spi e degli altri sindacati dei pensionati e confederali nella governance nazionale dei progetti contenuti nel Piano nazionale di resistenza e resilienza (Pnrr) che è estremamente dettagliato e produrrà quindi norme diversificate e mirate. Il secondo livello riguarda la partecipazione dei sindacati e delle parti sociali ai tavoli negoziale nei singoli territori, visto che il 40% delle risorse investite saranno gestite direttamente dalle amministrazioni locali. Noi vogliamo essere presenti e dire la nostra affinché le risorse vengano spese bene. Per affrontare con serietà la questione è necessario invertire le tendenze che hanno portato allo spopolamento a partire dagli investimenti in infrastrutture materiali e sociali. Dobbiamo rivitalizzare questi territori cominciando con la rinascita delle strutture e dei servizi socio sanitari per una medicina e un’assistenza di prossimità. Il terzo livello di attenzione nei prossimi cinque anni sarà la nostra capacità di stare vicino agli anziani così come abbiamo fatto in passato in tante occasioni, a partire da tutte le nostre iniziative di mobilitazione e solidarietà nelle zone investite dai terremoti ciclici di questi ultimi anni. Ma questa volta dobbiamo fare anche di più: dobbiamo cioè allargare a tutti i cittadini la nostra iniziativa perché la questione della rinascita delle aree abbandonate non riguarda solo la solitudine degli anziani, ma tutti. È una delle scommesse principali per costruire il futuro del Paese.