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Cristian Ferrari, segretario nazionale della Cgil, era con Maurizio Landini all’incontro con la ministra delle Riforme Casellati. Nessuna ipotesi scritta e nemmeno precisata a voce delle riforme costituzionali che il governo vuole varare. Vaghe indicazioni su rafforzamento della governabilità e dell’esecutivo. Il premierato, secondo il dirigente sindacale, farebbe cadere l’equilibrio istituzionale disegnato dalla Costituzione e l’ulteriore indebolimento del Parlamento ci condurrebbe sulla via dell’autocrazia. Da ricostruire, invece, il rapporto tra elettori e luogo della rappresentanza e della partecipazione democratica.
Più di un’ora di confronto con la ministra, come è andata?
Il presupposto di quella discussione non ci convince per niente. L’idea, cioè, che bisogna intervenire per modificare, anche radicalmente, l'impianto della nostra Costituzione. È questa la premessa che abbiamo sottoposto alla ministra e che, soprattutto, porteremo avanti con iniziative e mobilitazioni e partire dalla manifestazione del prossimo 24 giugno a Roma in piazza del Popolo. La questione che andrebbe posta, invece, è la grande distanza tra ciò che la Carta del '48 prescrive sui diritti fondamentali, dalla salute all’istruzione, sul programma sociale e democratico e la realtà. Quindi un tema vero è quello dell’attuazione della Costituzione. Il segnale politico, invece, che ci è arrivato dall’incontro con Casellati è quello che il governo conferma un'accelerazione nella direzione di una svolta presidenzialista. Noi non lo condividiamo.
Proviamo a entrare nel merito. Vi è stata presentata una ipotesi di riforma? A quale forma di Stato e a quale forma di governo pensano?
No, nessuna proposta. Però, è bene dire subito, noi siamo contrari a qualsiasi riforma che punti a superare l'attuale forma di governo parlamentare della nostra Repubblica, in tutte le varianti che vengono ipotizzate, dal presidenzialismo al semi-presidenzialismo. Se possibile siamo ancor più contrari all’ipotesi dell'elezione diretta del premier, è la peggiore di tutte. Basti pensare che non esiste in nessun altro Paese democratico. Il rischio che vediamo è quello di un'alterazione profonda, non solo dell'assetto attuale, ma anche dello stesso equilibrio tra i poteri dello Stato, della divisione tra i poteri.
Quali i possibili rischi del premierato?
Noi pensiamo che questa ipotesi determinerebbe uno squilibrio, perché il Presidente della Repubblica perderebbe i suoi poteri principali e sostanzialmente diventerebbe una figura meramente di rappresentanza. Sottrargli il potere di nomina del presidente del Consiglio e dei ministri, e quello di scioglimento delle Camere significa svuotare di funzioni e azzerare la figura di garanzia che oggi rappresenta. Il Presidente della Repubblica è un elemento di tenuta del sistema che va preservato. Ma poi, soprattutto, ci sarebbe un ribaltamento totale del rapporto tra governo e Parlamento. Il premier sarebbe eletto direttamente, quindi non solo non sarebbero più le Camere a dargli la fiducia ma avrebbe il potere di scioglierle. Insomma, il modello dell’elezione dei sindaci trasporto a livello nazionale determinerebbe la totale marginalizzazione del Parlamento. Peraltro non vediamo alcuna necessità di rafforzare i poteri del governo nel rapporto con il Parlamento. Anzi, già oggi la Costituzione materiale ha visto una torsione delegando le Camere al ruolo di ratificatore delle decisioni governative. Fino al punto di comprimere oltremodo anche la stessa funzione legislativa del Parlamento, come hanno ribadito più volte Corte costituzionale e il Presidente della Repubblica. Insomma, il combinato disposto di decretazione d'urgenza utilizzata ben oltre i limiti stabiliti dall'articolo 77 della Costituzione e questioni di fiducia reiteratamente poste hanno di fatto prodotto l'esito per cui il governo ha assunto su di sé anche la funzione legislativa.
Vogliamo ricordare che proprio nelle settimane scorse il presidente Mattarella ha convocato i presidenti di Camera e Senato chiedendo loro di far valere le prerogative del Parlamento, limitando l’uso di decretazione d’urgenza e fiducia. Non sembra che questo richiamo abbia prodotto effetti...
Esattamente. L'intenzione del governo è quella di sancire, anche sul piano formale, un diverso equilibrio tra esecutivo e Parlamento, fotografando ciò che esiste di fatto. Insomma c’è una filosofia anti-parlamentare e la si vuole introdurre anche nella Costituzione. Noi pensiamo invece che bisogna andare in tutt'altra direzione: la vera necessità e urgenza è restituire centralità al Parlamento, a partire da una limitazione della decretazione, cioé limitandola ai casi di necessità e urgenza previsti dall’art.77, restituendo forza a quella che è la vera sede della rappresentanza e della sovranità del nostro Paese.
Il Parlamento è la sede della sovranità popolare, ma un assenteismo elettorale che sfiora il 50% non svuota proprio la sede della rappresentanza? Dove e quando si è incrinato il rapporto tra elettori e luogo della rappresentanza?
Un rapporto che si è incrinato da tanto, troppo tempo, indipendentemente dall'orientamento espresso dagli elettori, probabilmente anche perché, a prescindere da chi governa, c'è una sorta di pilota automatico che sembra andare avanti inesorabilmente nelle politiche, nelle ricette economiche e sociali e che sembra proprio prescindere dal consenso, dagli orientamenti, dagli indirizzi che gli elettori danno. Non riguarda solo l'Italia e non riguarda soltanto questa stagione. Ma se le ricette economiche prescindono dagli esiti elettorali si mortificato oltremodo la dialettica democratica. Al di là di questo, c'è un tema di distanza tra il Parlamento e il Paese reale incrinato anche dalla legge elettorale che ha creato una rottura tra elettori forze politiche ed eletti. Quel che occorre fare, semmai, è mettere mano a una legge elettorale che ricostruisca un rapporto di rappresentanza chiaro, diretto e riconoscibile tra elettori ed eletti in Parlamento. Il tema della legge elettorale non è un escamotage per parlare d'altro o una questione formale. È un punto che contribuirebbe a ricostruire un rapporto diretto tra elettori e forze politiche che rivitalizzerebbe ebbe anche la funzione di rappresentanza democratica del nostro Parlamento. Poi c'è il tema dei partiti, altro grande nodo che non viene affrontato, anzi viene rimosso. I partiti da tempo non esercitano più quella funzione di interfaccia, di mediazione, di strumento di partecipazione delle persone per poter determinare l'indirizzo della politica nazionale, a partire dai territori. Una lunga stagione di antipolitica ha svuotato anche il ruolo ineludibile in una democrazia dei partiti, quindi altro che presidenzialismo, andrebbe data attuazione all’articolo 49 della Costituzione, ed è quello che abbiamo chiesto alla ministra Casellati. Sarebbe utile proprio nella logica di rafforzare gli strumenti della partecipazione.
La Costituzione italiana disegna un sistema istituzionale fatto di pesi e contrappesi e di un sistema di controllo importante ora. L'elezione diretta del premier svuoterebbe inevitabilmente di una serie di prerogative la Presidenza della Repubblica e metterebbe in discussione l’equilibrio istituzionali di pesi e contrappesi. In fondo già si manifesta con il fastidio dimostrato quando organi terzi, dalla Corte dei conti alla all'Anac, alla Corte costituzionale, esercitano le prerogative di controllo che sono assegnate. Quali sono i rischi per il Paese?
La cosiddetta democrazia decidente ci porterebbe dritti dritti verso la direzione delle cosiddette autocrazie. Questa è la strada che imboccheremmo con una riforma di questo tipo, venduta quasi come un intervento limitato, ma che avrebbe un impatto sistemico dirompente, perché la Costituzione, l'architettura costituzionale è un meccanismo delicatissimo: se si altera anche solo un punto, come ad esempio l'elezione diretta del premier, si mette in discussione a caduta tutto l'impianto nel rapporto con il Parlamento, nel rapporto con il Presidente della Repubblica, nel rapporto con gli organi terzi di garanzia e di controllo che sono un altro elemento fondamentale in una idea di stato di diritto. Insomma, la questione della divisione dei poteri e degli equilibri e dei pesi e contrappesi è fondamentale per disegnare un sistema istituzionale democratico.
Il 24 di giugno e poi il 30 di settembre un ampio cartello di associazioni e di soggetti sociali, capofila la Cgil, si ritroveranno in piazza del popolo a Roma per dire che la Costituzione va attuata.
Perché noi siamo profondamente convinti che questa battaglia per la difesa e l'attuazione della nostra Costituzione non è una battaglia astratta e men che meno conservatrice. Attuare la Costituzione, a partire dalle sue componenti sociali, vuol dire cambiare profondamente lo status quo. E soprattutto l'idea di legare la questione istituzionale e democratica, quindi l'unità del Paese, la coesione, la partecipazione, la rappresentanza con la questione sociale, diritti, lavoro, salario, servizi pubblici, scuola, sanità, è la chiave per affrontare questa fase. Parlare di Costituzione vuol dire parlare di uguaglianza, vuol dire parlare di diritto al lavoro, alla salute, all’istruzione pubblica, a salari dignitosi e di rappresentanza sindacale, di modello di impresa vincolato a finalità sociali e ambientali. Dietro ognuna di queste questioni c'è un articolo preciso della nostra Costituzione. Il problema non è cambiare la Costituzione, ma come attuiamo, come concretizziamo e come inveriamo quelle norme, quei principi e quel programma politico sociale scritto nella Carta che ancora oggi disegna un cambiamento della nostra società, del nostro modello sociale e di sviluppo. Il 24 giugno è solo la prima tappa di un cammino lungo. Non ci fermeremo.