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Paganica è una frazione dell’Aquila, uno dei piccoli centri che vennero letteralmente tirati giù dal terremoto del 6 aprile 2009. E oggi è un paese abbandonato. I vicoli sono deserti, l’erbaccia s’è impadronita delle macerie, molte case sono rimaste così com’erano quella notte: abbandonate in fretta, con le porte spalancate. Per trovare un bar aperto bisogna uscire dal centro storico, per vedere anima viva bisogna affacciarsi nella piazza centrale. Su, nelle viuzze più strette, non passa più nessuno. Alcune strade laterali sono ancora sprangate: è zona rossa, potrebbe essere pericoloso. Ogni tanto spunta un cantiere aperto da poco, c’è un’impalcatura. Si sente battere un martello, o il ronzio di un flex. Ma sono solo piccole interruzioni in un silenzio che dura ormai da più di un decennio. La stessa situazione la troviamo ad Onna, borgo simbolo di quel sisma. I pochi abitanti rimasti sono stati spostati pochi metri più in là, in un villaggio di legno prefabbricato, donato all’epoca dal governo tedesco. E adesso sono ancora lì dentro. Dall’altra parte della strada, oltre una palizzata, le gru si muovono lente nel cielo estivo. Sotto, macerie e distruzione la fanno da ancora padrone. Si sente il vociare di qualche operaio, al lavoro nonostante il caldo.
Centro e periferia
A undici anni dal terremoto, insomma, all’Aquila il cratere è ancora aperto. O meglio, sono ancora aperti due crateri: uno in centro, l’altro nei sobborghi. Insieme fanno il cantiere diffuso più grande d'Europa, ci lavorano circa 7mila persone impiegate da centinaia di imprese. “Onna e Paganica sono due delle periferie della ricostruzione. In centro città la situazione è molto diversa - ci racconta Emanuele Verrocchi, giovane segretario generale uscente della Fillea dell’Aquila -. Qui e negli altri 56 comuni colpiti dal sisma c’è ancora tanto da fare. Pensiamo che ci sia lavoro per altri dieci anni. Per ogni singolo cantiere ci sono difficoltà burocratiche enormi da superare, lungaggini infinite, ritardi nei finanziamenti, intoppi nell’applicare le norme. Tutto questo rallenta la ripartenza e genera l’abbandono che vedete”. E poi c’è una differenza sostanziale tra la ricostruzione degli edifici pubblici e di quelli privati: “Se nel privato qualcosa negli anni s’è mosso, nel pubblico siamo ancora al palo.”
Al centro dell’Aquila, in effetti, la situazione appare diversa. L’asse centrale del Corso, quello che era lo “struscio” degli universitari, pieno di bar e locali affollati a qualsiasi ora, fino all’anno scorso era un unico grande cantiere. “Quando c’era vento, s’alzava un gran polverone che faceva lacrimare gli occhi”. Oggi invece di cantieri ne sono rimasti solo un paio, e c’è già qualche segnale di vita. Ai tavolini, nonostante le restrizioni anti-covid, manciate di giovani mangiano panini e bevono birra, ogni tanto s’affaccia pure una famiglia di turisti accaldati. “Ma tornare alla normalità sarà duro. Molti studenti se ne sono andati, le case sono perlopiù sfitte, il turismo è praticamente paralizzato”. Il palazzo del governo, la cui foto fece il giro del mondo, è avvolto da un’impalcatura, eppure in piazza si sta allestendo il palco per un concerto. Insomma, se Paganica e Onna sono paesi morti, L’Aquila è quantomeno una città in convalescenza.
I numeri non mentono
A confermare questa distanza ci sono anche i dati forniti da Opendata L’Aquila, un progetto di monitoraggio della ricostruzione portato avanti dai ricercatori del Gran Sasso Science Institute. La piattaforma, che consiste in una banca dati che rende disponibili, trasparenti e accessibili tutti i numeri e le informazioni riguardanti la ricostruzione post terremoto, verrà presentato ufficialmente a fine agosto, ma noi siamo già in grado di anticipare alcuni risultati. Se nel centro dell’Aquila si arriva in media al 70% di ricostruito, nei comuni del cratere esterno toccare quota 40% risulta una vittoria. Per quanto riguarda la ricostruzione pubblica, nel centro città sono stati effettuati 361 interventi, il 69% del totale. I cantieri finiti sono 176, pari al 49%. Per il privato invece si arriva al 67% completato, mentre i cantieri chiusi sono quasi 9.000, l’82% del totale. Nel cratere esterno, poi, per quanto riguarda la ricostruzione pubblica, è stato completato solo il 41% di 337 cantieri. Per il privato, su 13.576 cantieri è stato finora portato a termine solamente il 40%.
Cantiere criminale
La ricostruzione oltre che dai legacci burocratici, da queste parti, è stata rallentata anche dal caporalato e dal malaffare. Già nel 2018 la Fillea aveva lanciato l’allarme sul dilagare dei subappalti a piccole e piccolissime aziende in grandi cantieri milionari, in cui risultava un numero medio mensile di lavoratori occupati che si fermava ad appena 5 unità. Una situazione che favoriva il dilagare di situazioni di sfruttamento lavorativo. “Dal 6 aprile 2009 - racconta ancora Emanuele Verrocchi - ci sono stati sopratutto due casi eclatanti che hanno riguardato il lavoro: l’inchiesta Social dumping e l’inchiesta Dirty job”. La prima riguarda lo sfruttamento del lavoro di alcuni operai rumeni che lavoravano in un palazzo del storico dell'Aquila tramite l'istituto contrattuale del distacco comunitario. Avevano un contratto, risultato poi illegittimo, che copriva un situazione di sostanziale caporalato transnazionale. “Si è già arrivati all’arresto del caporale, ma il processo è ancora in corso”. Il secondo episodio fece molto più rumore, e riguardava l’infiltrazione della camorra nei cantieri del cratere: “La Fillea ha denunciato a mezzo stampa un fenomeno di estorsione nei confronti di un gruppo di lavoratori, che venivano accompagnati al bancomat il giorno di paga, così che il datore di lavoro ne potesse sottrarre una percentuale”. Da quella denuncia è partita l’indagine della procura battezzata Dirty job, che ha ben presto portato all'arresto di appaltatori aquilani vicini a imprenditori provenienti dal Casertano, che a loro volta sono risultati affiliati al clan dei Casalesi. Anche questo processo è ancora in corso. Più recentemente poi, il 14 luglio scorso, il Prefetto ha adottato un’interdittiva antimafia nei confronti di un’impresa attiva nella ricostruzione del cratere. A conferma che quelle due vicende non erano certo casi isolati.
Come ti sfrutto il Covid
Per difendersi dal rischio di infiltrazioni, nel 2014 è stato anche istituito un osservatorio presso la Prefettura dell’Aquila. Si stratta di un tavolo di monitoraggio dei flussi di manodopera previsto dalle linee guida antimafia, che comprende sindacati, parti datoriali, cassa edile, Asl, Inps, e Inail. “É uno strumento importante - spiega ancora Verrocchi - perché permette di incrociare i dati della cassa edile e individuare così anomalie sui cantieri per quanto riguarda la congruità di manodopera. Ci è utile sopratutto perché nella ricostruzione del sisma 2009 non possiamo sfruttare il Durc per congruità, che ci permetterebbe di calcolare quanti operai lavorano in relazione all'importo dell'appalto. Oggi abbiamo solo il Durc on-line, che da questo punto di vista non è affatto efficace. Così come non è efficace il controllo pubblico dei servizi ispettivi nei cantieri, sopratutto in quelli più piccoli e lontani dal centro”. Un altro solco scavato tra città e periferia.
In ogni caso, l’osservatorio della Prefettura potrà tornare molto utile anche oggi, in tempo di Covid. Molte aziende infatti stanno sfruttando i protocolli anti-contagio e la cassa integrazione per ridurre il numero di operai in cantiere. La ripartenza c’è, è cresciuto il ritmo delle lavorazioni, ma sono diversi i casi di imprese che hanno utilizzato la cig chiedendo ai dipendenti di lavorare comunque a tempo pieno. In questo modo si sfrutta il lavoro e si truffa l’erario. “E poi - afferma Verrocchi – con tutti questi cantieri aperti e con i nuovi finanziamenti che arriveranno nei prossimi tempi, questo potrebbe diventare un territorio ancor più invitante per le organizzazioni malavitose. Dobbiamo stare particolarmente in guardia. Non sarà facile”.
Così come non è facile districarsi nella giungla di norme che già ci sono e che ben presto s’ingarbuglieranno ulteriormente coi decreti Rilancio e Semplificazioni. “Noi, in realtà, avremmo bisogno di strumenti chiari e semplici per gestire i cantieri e difenderci dalle infiltrazioni - conclude Silvio Amicucci, segretario generale della Fillea Abruzzo e Molise -. Qui, in alcuni comuni, già s’incrociano le norme relative alla ricostruzione del sisma del 2009 con quelle del sisma 2016. É una vera follia. Ci servirebbero invece strumenti comprensibili, lineari, che ci di permettano di superare una volta per tutte la fase del commissariamento, e diano finalmente regole certe a questi territori martoriati. Se dobbiamo elaborare una norma per rilanciare un settore come quello edile, che dal 2008 soffre in modo drammatico, serve una legge strutturale, non certo nuovi commissari.”