Sulla statale 12 dell'Abetone e del Brennero che taglia in due Mirandola, le luci e i rombi dei Tir non si fermano nemmeno di notte. Un'alternanza di luci bianche e rosse che stordisce ma rende l'idea di quanto operosa sia questa parte della Bassa, divenuta famosa nel mondo per la produzione di dispositivi biomedicali monouso. La pandemia ha esaltato il ruolo fondamentale dei polimeri nella sanità, a partire dai dispositivi di protezione. Da decenni, la stragrande maggioranza dei dispositivi presenti negli ospedali – dalle terapie intensive alle sale operatorie, dai pronto soccorso alle corsie – sono di plastica.

Il distretto nasce dall'intuizione di Mario Veronesi, farmacista che alla fine degli anni sessanta crede nella possibilità di sostituire con dispositivi monouso strumenti clinici che fin lì necessitavano di continue sterilizzazioni. Nel giro di pochi decenni, l'avventura iniziata nel garage di casa ha consentito a imprese di piccole e medie dimensioni di attirare capitali stranieri e di competere sui mercati internazionali. Oggi, a Mirandola, il biomedicale occupa circa 5 mila addetti diretti. Le imprese del territorio si sono specializzate nella produzione di materiale monouso per scopi medici, apparecchiature per dialisi, ventilazione, cardiochirurgia e trasfusione. E naturalmente parte degli strumenti di protezione necessari per affrontare la crisi sanitaria dovuta al Covid-19. Il volume d'affari supera ogni anno il miliardo di euro, con una naturale propensione all'export. 

Industria italiana

"Che il distretto sia strategico all’interno del tessuto produttivo modenese, emiliano e nazionale è fuori dubbio – sottolinea il segretario generale della Filctem Cgil modenese, Roberto Righi –. Tra i distretti italiani, quello di Mirandola è l'unico in cui agiscono cinque grandi multinazionali. Produrre in Italia è strategico e la pandemia lo ha dimostrato". Righi ricorda il periodo post-sisma: "Considerando la predominanza di capitali stranieri, dopo il terremoto del 2012, il distretto poteva essere delocalizzato. Invece la produzione è rimasta qui grazie alle competenze maturate sul territorio. Spostare stabilimenti è tutto sommato facile, portar via il know how è più complesso. La disponibilità, l'abnegazione dei lavoratori, ha consentito al distretto di consolidarsi e svilupparsi fino a oggi".

Ai cambi turno attraversano i tornelli centinaia di uomini e donne. I Tir sono in fila davanti ai magazzini per distribuire in tutto il mondo. Le fabbriche non si sono più fermate e, durante gli ultimi due anni, in molte di esse la produzione si è intensificata. Qui, tra gli altri, si producono i caschetti respiratori per i malati di covid. Dispositivi che salvano la vita.  Strumenti in plastica, un materiale così modellabile che ha permesso anche un'enorme specializzazione. Si tratta di un'eccellenza del nostro Paese che deve rappresentare linfa per i giovani, offrendo formazione, ricerca e futuro.

Negli ultimi anni la Regione Emilia-Romagna ha finanziato l'ITS biomedicale, una scuola post diploma che forma tecnici per il settore, e il Tecnopolo, un laboratorio dove sono impiegati ricercatori dell’Università di Modena. Alla realizzazione del progetto hanno partecipato anche le principali aziende del distretto. Le università di Modena, Verona e Trento hanno dato vita lo scorso anno a un corso di laurea inter-ateneo che ha già 200 iscritti. Giuliana Gavioli, vicepresidente senior, responsabile ricerca e sviluppo della multinazionale tedesca B.Braun Avitum, racconta come il Tecnopolo e le aziende mirandolesi saranno il supporto per summer school e stage in collaborazione con l'ateneo modenese. "Il Comune di Mirandola – spiega – ha individuato l'area per l’allargamento del Tecnopolo che ospiterà l'ITS biomedicale, nuovi laboratori e un incubatore di aziende. Quindi nuove idee, nuovi spin-off, nuove start-up insisteranno sul territorio. Tutti insieme costituiranno il fulcro della formazione e della ricerca del distretto".

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"La transizione ecologica è fondamentale per il nostro settore – sottolinea Giuliana Gavioli – ci sono diverse direttive che dobbiamo seguire a partire dalla Material compliance: alcuni additivi o alcuni componenti delle materie plastiche sono banditi dall’uso per umani e i nostri prodotti non devono produrre sostanze tossiche per l’ambiente nemmeno nel momento dello smaltimento. Lo stesso packaging deve essere completamente riciclabile". Secondo Gavioli, nel prossimo futuro la nostra attenzione dovrà spostarsi sulla riduzione del consumo di acqua: "Per ogni dialisi ne vengono utilizzati 150 litri e sono necessari tre trattamenti a settimana. Noi sappiamo che l’acqua è un bene prezioso, lo sarà sempre di più. Dobbiamo orientarci a nuovi sistemi che possano recuperarla o aiutarci a utilizzarne meno". Poi ci sono le nuove frontiere: "C'è un filone di ricerca – spiega Giuliana Gavioli – rivolto alla miniaturizzazione dei dispositivi per permettere di essere impiantati sul paziente. O il bioprinting 3D, che nel settore delle terapie avanzate esplora la possibilità di creare cellule, tessuti e organi artificiali per la cura di specifiche patologie".

"Rispetto ai livelli qualitativi elevatissimi che il settore e il territorio possono raccontare – sottolinea Roberto Righi – assistiamo ancora a campagne denigratorie nei confronti della plastica. E qui è chiaro come si producano dispositivi che salvano la vita. Il problema non è la plastica in sé ma come viene realizzata, utilizzata e infine riciclata o distrutta. Quando tutta la filiera è controllata e tutto avviene nel rispetto delle regole, la plastica non deperisce la vita ma rappresenta un valido ausilio. La maggior parte degli stereotipi sono incentrati su un errato smaltimento dei rifiuti ma, tendenzialmente, sono i comportamenti umani scorretti che hanno contribuito ad attribuire alla plastica un'immagine sbagliata".