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Interrompere una gravidanza non è mai una decisione facile, lo Stato deve assicurare a ciascuna donna il diritto alla scelta libera, autonoma, sicura. Lo prevede la legge 194. Ovviamente rispetto al 1978, anno di approvazione di quella norma, poi confermata da un referendum popolare, tecnica e sapere medico sono cambiati, e tutto ciò che rende abortire meno invasivo e rischioso dovrebbe essere garantito. Quel che è accaduto in Umbria è sorprendente, ma in linea con il tentativo di riduzione della libertà femminile tornato di moda negli ultimi anni. Ricordiamo bene, ad esempio, i disegni di legge presentati dal senatore Pillon. Molte sono state le voci che si sono levate contro l’ospedalizzazione dell’utilizzo della Ru486 voluta dalla presidente dell’Umbria Donatella Tesei. Non poteva mancare quella della Cgil.
“La decisione presa dalla Regione di ricoverare per tre giorni chi ricorre all’interruzione farmacologica di gravidanza riporta indietro nel tempo conquiste dovute alle lotte delle donne, che hanno fatto sì che diverse regioni deliberassero l’intervento in day hospital, ritenendo inadeguate le linee guida dell’Istituto superiore di sanità del 2010, recepite dal ministero della Salute, che prevedono, appunto, il ricovero di tre giorni”. È quanto si legge in una nota della Cgil nazionale: “Il provvedimento – si sottolinea – è finalizzato a ostacolarne il ricorso, e si aggiunge ai tanti impedimenti già in atto, quale l’alto numero di medici obiettori negli ospedali e nei consultori. Sono scelte dannose e punitive nei confronti delle donne, che determinano sofferenza. Il vero rispetto della legge 194 richiede che si scelgano le pratiche meno invasive”.
Per Susanna Camusso, responsabile delle Politiche di genere della Confederazione, rispettare “il diritto all’autodeterminazione delle donne significa privilegiare le pratiche meno invasive del loro corpo e della loro privacy. Per questo la Ru486 nelle nove settimane è una scelta da compiere”.
La determinazione della presidente dell’Umbria è ancor più sorprendente per la concomitanza con l’emergenza Covid-19, che si è allentata ma certo non è terminata. La segretaria nazionale Cgil Rossana Dettori sottolinea come questa decisione sia rischiosa per la salute delle donne: “Il ricovero potrà comportare, in questo periodo di criticità, un ulteriore aggravio organizzativo e di costi per le strutture ospedaliere, aumentando il rischio di contagio”. La legge sull’interruzione di gravidanza è nazionale: qualunque sia la regione di residenza, il diritto alla libertà di scelta deve essere garantito a tutte le donne, dal Piemonte alla Sicilia. È quindi apprezzabile, secondo le dirigenti sindacali, il fatto che “il ministro della Salute Roberto Speranza abbia chiesto un nuovo parere all’Istituto superiore di sanità. Ma non basta: il ministro deve anche garantire non solo l’applicazione della 194, ma il diritto delle donne all’autodeterminazione, prendendo anche esempio dai tanti paesi europei per la definizione dell’utilizzo della pillola Ru486 nelle nove settimane di gravidanza”.