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“La proposta di un’Agenzia per lo sviluppo industriale pone questioni importanti che dovrebbero far parte di un dibattito pubblico sullo sviluppo del Paese, in particolare per le aree più in ritardo, ma guardando al profilo dell’attuale classe dirigente del Paese non me la sento di essere ottimista”. Per il professor Gianfranco Viesti, economista e saggista, docente dell’Università di Bari, l’idea avanzata dalla Cgil della creazione di una nuova Iri, dove “le scelte strategiche della politica possano trovare un luogo operativo di governo, implementazione e coordinamento”, pur se interessante, deve fare i conti con un clima politico e culturale che lui stesso non esita a definire sconfortante.
“Vi sono due questioni importantissime da affrontare e capire prima di discutere della proposta – argomenta Viesti –. La prima è se esiste un consenso politico circa l’utilità di intervenire con misure specifiche a sostegno dell’apparato produttivo. La seconda è se si intende farlo in una visione nazionale e con quale attenzione rivolta ai territori del Mezzogiorno. A me sinceramente non sembra che si stia vivendo in tal senso una congiuntura favorevole”.
Rassegna Professor Viesti, perché teme che la proposta messa nera su bianco in un documento dalla Cgil non possa trovare la dovuta attenzione da parte della politica?
Viesti A mio avviso, non c’è un consenso politico a ragionare di politiche industriali e ancora meno a farlo secondo un’ottica nazionale, prevedendo misure specifiche di sostegno per il Mezzogiorno. Ma non è questione di oggi. La classe dirigente di questo Paese da tempo ha abbandonato tali obiettivi, piegata su interessi meramente particolari. Per questo ho molta sfiducia circa la possibilità di aprire almeno un dibattito sui temi posti dalla Cgil, che invece hanno senso in una fase come questa.
Rassegna Vi è una forte spinta delle Regioni, soprattutto di quelle del Nord del Paese, a spostare sui territori competenze che fanno capo allo Stato centrale, anche sul versante del sostegno alle imprese. In risposta, lei si è fatto promotore di una campagna contro quella che ha chiamato “la secessione dei ricchi”…
Viesti C’è questa tendenza a decentrare competenze e per alcuni versi è anche saggio rispetto a specificità – penso al sistema delle imprese – di ogni territorio. Tuttavia, ritengo opportuno che non debba venir meno un ruolo dello Stato e una visione nazionale in grado di mettere a sintesi le strategie di sviluppo industriale delle singole regioni. Ma da anni manca una politica industriale del Paese che individui almeno delle priorità. L’azione del ministero dello Sviluppo economico, più che ispirata a una strategia complessiva, sembra basarsi esclusivamente su iniziative di carattere difensivo, finalizzate ad affrontare di volta in volta le numerose vertenze produttive causate dalla fase recessiva.
Rassegna In tal senso, la proposta Cgil di Agenzia per lo sviluppo industriale nasce proprio dall’analisi di un ormai a tutti evidente fallimento delle politiche del cosiddetto “localismo virtuoso”, basato quasi esclusivamente su risorse endogene e che ha visto un forte arretramento dell’intervento statale diretto.
Viesti Credo che nessuna ricetta sia vincente da sola, ma la riflessione che propone la Cgil su chi e come deve porsi una questione di strategia complessiva non può che essere condivisibile. Siamo in una fase nuova rispetto all’idea per cui era sufficiente costruire condizioni esterne, di contesto, per supportare lo sviluppo industriale. Servono invece interventi diretti da parte dello Stato, come nel caso dirimente del sostegno all’innovazione del sistema delle imprese. Cito tra le proposte individuate quella relativa alla Cassa depositi e prestiti, che soffre sicuramente – per colpe della politica più che per un suo limite – di un’azione non mossa da una visione di lungo periodo. Da questo punto di vista, il richiamo alla Gtai tedesca su come si interviene a sostegno delle imprese con un efficiente ruolo del pubblico è altrettanto interessante.
Rassegna A uscire penalizzato da questa mancanza di visione, per debolezze strutturali note, è ancora una volta il Mezzogiorno. Lei sottolinea come si sia affermato quel “teorema meridionale” per cui il Sud è più zavorra che opportunità di rilancio del sistema Paese. Eppure proprio l’analisi della domanda interna evidenzia un’interconnessione territoriale a vantaggio delle aree del Nord, e questo accade mentre si insiste sul tema dell’autonomia differenziata. Come se lo spiega?
Viesti Con la sottocultura di una classe dirigente dotata di uno sguardo davvero molto corto, che poggia su interessi meramente regionalistici, legati al proprio territorio. Manca una visione di lungo periodo, uno sguardo economico sulle cose. Lo sviluppo di ogni territorio è legato a quello di un altro, lo amplifica e ne viene beneficiato. Invece, c’è questa insistenza sulla completa regionalizzazione delle politiche industriali. E mi fa specie che di tali questioni non discuta anche la rappresentanza degli imprenditori, che dovrebbero invece essere più attenti a conciliare aspetti territoriali e nazionali. Per questo affermo che non mi sembrano favorevoli i tempi per accogliere una proposta, almeno di confronto sul merito delle cose, come quella che avanza la Cgil.
Rassegna Una miopia, quella delle imprese, denunciata in tutti questi anni dalla Cgil, rimasta sola a invocare politiche industriali nazionali. Tutta l’attenzione del dibattito pubblico è però stata spostata sul tema costo del lavoro, intervenendo massicciamente con incentivi e tralasciando aspetti come la qualità del fare imprese e l’innovazione.
Viesti Non c’è dubbio che soprattutto il precedente governo, quello a guida Renzi, ha impostato in tal senso tutta la sua strategia, se così possiamo chiamarla. È stato un grave errore. Oggi c’è in campo Industria 4.0, che invece può avere un ruolo per rilanciare un’idea di intervento a sostegno dell’innovazione e della qualità del nostro sistema di imprese. Certo, a mio avviso è incompleta, perché andrebbe sostenuto l’intervento sulla formazione e sulla territorialità delle misure, aspetti che interessano soprattutto il Mezzogiorno. Non so nella cinquecentesima versione della manovra del governo giallo-verde cosa si preveda, ma anche in questa circostanza c’è davvero poco da essere ottimisti.