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Io ho sempre pensato che per fare un lavoro come quello che facciamo sia necessario un grande spirito di servizio, oltre al fatto di non considerare se stessi altruisti per questo, e credo che ci sia bisogno di questo spirito di servizio per poter vivere. Non ho mai considerato un fatto di altruismo fare il sindacalista, anche nelle migliori condizioni in cui questo può avvenire, anche nei periodi più alti della militanza, come sono stati gli anni della fine degli anni ’60 e per tutto un lungo periodo degli anni ’70. (...)
Si può salire nelle responsabilità, ma si può anche discendere, non c’è niente di male in questo, anzi questo fatto, secondo me, dà un’abitudine al carattere che impedisce quelle sciocchezze per cui uno pensa di essere così importante nella vita. Se si è importanti lo si è per qualche minuto, per qualche periodo, ammesso anche che l’espressione "importante" abbia un qualche significato preciso, mentre la responsabilità, questa sì, ha un significato molto importante e chi ne assume il carico deve avere pienamente il senso di questa responsabilità, perché altrimenti non si capisce quello che si può fare e soprattutto non si capisce che in alcuni momenti certe cose bisogna proprio farle, al di là, secondo me, di qualsiasi contingenza e valutazione.
Ho conosciuto le fabbriche meccaniche, quelle di meccanica fine di Bologna, così come quelle di siderurgia a Brescia, e devo dire che non avevo mai visto operai lavorare in quelle condizioni terribili, perché nel periodo in cui io sono stato a Brescia lavoravano in condizioni davvero impensabili. Così come sono stato a Torino per tanti anni e devo dire che da questa esperienza è emerso un secondo punto, secondo me, decisivo: se non ci si identifica seriamente con la condizione dei lavoratori e delle lavoratrici, se non li si ama, non si può fare il sindacalista, non è possibile.
Gli atti di cinismo, quindi, o di furbizia sono solo delle sciocchezze autolesioniste, sciocchezze contro di sé, più che contro gli altri. Il lavoro del sindacalista è difficile e per farlo bisogna avere un certo livello, naturalmente, di moralità, in senso proprio, e bisogna credere davvero che sia possibile la giustizia sociale, perché, se non si crede neanche in questo, non si può fare il sindacalista. (...)
Voglio concludere proprio con questo: ciascuno di noi, uomini o donne che siano, può essere considerato un dirigente solo se è in grado di far retrocedere i propri interessi personali rispetto agli interessi della organizzazione che governa. Se non ha questa statura, non è un dirigente!