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“Sono un figlio dell’ultimo secolo dello scorso millennio - scriveva Pietro Ingrao di sé stesso - quel Novecento che ha prodotto gli orrori della bomba atomica e dello sterminio di massa, ma anche le speranze e le lotte di liberazione di milioni di esseri umani”. Quel Novecento che vede nascere e morire in Italia - e non solo - il Partito comunista.
Nel febbraio 1991, con 807 voti favorevoli, 75 contrari e 49 astenuti, il Partito Comunista italiano, fondato il 21 gennaio 1921, decreta il proprio scioglimento al termine di un percorso avviato nel Comitato centrale del 20 novembre 1989.
“L’emozione rispetto alla sorte del nome ‘comunista’ - scriveva quella sera Ingrao - non è un lamento di ‘reduci’. È un grumo di ‘vissuto’, di esperienza sofferta di milioni di italiani che intorno a questo nome hanno combattuto non solo battaglie di libertà - che sono state condotte anche da altri che io rispetto - ma hanno visto la tutela dei più deboli, come patrimonio sepolto da valorizzare”.
“Il cursus honorum del Pci (la Resistenza, la direzione de l’Unità, Botteghe oscure, la Camera dei deputati, di cui sarà, tra il 1976 e il 1979, il primo presidente comunista, il Centro per la riforma dello Stato) - scriveva Paolo Franchi sul Corriere della Sera in occasione del suo centesimo compleanno - Ingrao, amato dalla sua gente assai più che da gran parte dello stato maggiore del partito, dal quale lo ha diviso per sempre la battaglia 'da sinistra' data (e persa) nel 1966, all’undicesimo congresso, lo farà tutto. A quel nome grande e terribile, comunismo, e a quel 'grumo di vissuto' rappresentato dalla vicenda storica dei comunisti italiani, resterà fedele fino e oltre il momento dell’ammainabandiera”.
Nato a Lenola il 30 marzo del 1915, laureato in Legge e in Lettere e filosofia, Pietro Ingrao aderisce al Partito comunista clandestino nel 1940, partecipando attivamente alla Resistenza (nel luglio del 1943 si trova a Milano, dove lavora alla stampa clandestina de l’Unità e, dopo l’8 settembre, è attivo nella Resistenza a Milano e a Roma.).
Dopo la Liberazione, il Partito gli affida incarichi di sempre maggior rilievo: direttore de l'Unità dal 1947 al 1956; membro del CC dal VI Congresso; membro della Direzione dal 1956; nella Segreteria dal 1956 al 1966, quando al Congresso rivendicherà il “diritto al dissenso”.
Deputato dal 1948 per dodici legislature, nel 1992 chiederà di non essere ricandidato. Presidente del gruppo parlamentare comunista alla Camera nel 1968, presiederà - succedendo a Sandro Pertini - l’Assemblea dal 5 luglio 1976 al 1979, quando chiederà di non essere confermato. Alla presidenza della Camera dei deputati gli succederà Nilde Iotti.
“Pietro Ingrao - diceva poco dopo la sua scomparsa Niki Vendola - è stato un protagonista davvero singolare della vicenda politica del Novecento. Attraversando i tornanti cruciali di un’epoca di ferro e di fuoco, la sua esistenza è stata come attratta irresistibilmente nel gorgo della grande storia, il suo cammino s’è fatto trincea e battaglia. La milizia politica è stata per lui e per un pezzo della sua generazione l’espressione naturale di un forte sentire morale, lo “stare eretti” dinanzi alla barbarie dei fascismi e della guerra. La sua inquietudine e curiosità e passione intellettuale è stata innanzitutto orientata - come tutti sanno dalla sua biografia - alla rappresentazione artistica, alla letteratura, al cinema: e cioè all’arte come strumento di incivilimento, come cognizione della bellezza (...) La “canzone” di Ingrao sarà denuncia civile, lotta clandestina, lo stare da un parte. Insomma: una scelta di vita”.
E, quasi centenario, il partigiano Guido aprirà un suo sito internet salutando i propri lettori proprio con una poesia (di Brecht).
“Cara lettrice, caro lettore - scriverà - internet non è un mezzo consueto, per chi è nato nel 1915; ma è il mezzo di comunicazione del presente, e ho pensato di usarlo. (…) Scriveva Bertolt Brecht: “Nelle città venni al tempo del disordine, quando la fame regnava. Tra gli uomini venni al tempo delle rivolte, e mi ribellai insieme a loro”. Il mondo è cambiato, ma il tempo delle rivolte non è sopito: rinasce ogni giorno sotto nuove forme. Decidi tu quanto lasciarti interrogare dalle rivolte e dalle passioni del mio tempo, quanto vorrai accantonare, quanto portare con te nel futuro”.