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Anche se non tutti gli istituti italiani hanno ancora riaperto i battenti, per chi ha mantenuto l’indicazione del 14 settembre la prima settimana di scuola è andata in archivio tutto sommato bene, al netto di alcuni casi di positività registrati, a ricordare che l’attenzione deve rimanere altissima per scongiurare lo spettro di dover tornare sui propri passi.
Dalla prima all’ultima ora, nel corso della mattinata le misure di contrasto alla pandemia si concentrano soprattutto sulla frequente igienizzazione delle mani, nell’utilizzo della mascherina in particolare in bagno e tra i corridoi, e, se le condizioni meteorologiche lo consentono, nella ricerca di spazi aperti alternativi (cortili, giardini, campi sportivi e altro), oltre al mantenimento delle distanze, soprattutto scaglionando i momenti di entrata e uscita dai plessi, per evitare assembramenti con le famiglie che accompagnano e attendono fuori dal cancello.
In altri termini si fa quel che si può, ciascuno interpretando il proprio ruolo con la consapevolezza di danzare sul filo di un sottilissimo equilibrio, coscienti del rischio di contagio dietro l’angolo con tutte le conseguenze del caso, dalla quarantena alla chiusura, eventualità che proprio questa prima settimana di lezioni ha confermato quanto sia importante eludere.
I dirigenti scolastici moltiplicano le circolari, il personale Ata moltiplica gli sforzi, i docenti provano a far rispettare le regole con un minimo inevitabile di elasticità, e con il compito di valutare l’impatto di un rientro che per studenti e studentesse in non poche situazioni si sta rivelando affatto semplice, in qualche circostanza alquanto scomodo: c’è chi è ancora senza banco, seduto sulla sedia con i quaderni sulle ginocchia o incrociando le gambe direttamente a terra, mentre le minigonne rubano l’occhio a compagni e docenti, come racconta la cronaca dal Liceo Socrate di Roma. Oppure, come denuncia la Cgil di Avellino attraverso una nota del suo segretario Franco Fiordellisi, nel V Circolo didattico della città irpina c’è chi deve assistere alla suddivisione della propria classe per le norme anti-covid non in virtù di un ponderato criterio didattico, ma in base “al rendimento omogeneo degli alunni”, individuando così figli e figliastri senza dar loro nemmeno il tempo di ricominciare le abituali attività scolastiche.
Eppure, i primi commenti provenienti dalle sale professori (non tutte), dai consigli di classe già effettuati, dagli stessi uffici di presidenza, raccontano che la vera sorpresa in questi giorni atipici siano proprio loro, gli studenti e le studentesse della secondaria di primo e secondo grado, dunque in una fascia di età compresa tra gli 11 e i 18 anni; una sensazione ribadita anche dalla testimonianza di genitori che rivelano come i propri figli non vorrebbero rimanere a casa quando la didattica mista lo impone (come invece sta accadendo troppo frequentemente in non pochi licei), preferendo il rapporto diretto con compagni e docenti.
Se si pensa a quanto detto e scritto nelle settimane precedenti l’apertura, a proposito di adolescenti incoscienti e irresponsabili che con il loro atteggiamento sconsiderato, tra un ballo in discoteca e un falò in spiaggia, intendevano boicottare l’avvio dell’anno scolastico mettendo a repentaglio non solo la propria salute ma quella dei loro cari, dovremmo forse approfondire meglio l’intera questione. Senza voler dar loro l’attenuante determinata dal desiderio di tornare insieme a respirare un po’ di “normalita” almeno durante l’estate, dopo mesi di forzata clausura, abbiamo però dato l’impressione di aver dimenticato la loro età, né considerato cosa avremmo fatto noi al loro posto.
L’aumento di episodi nei fine settimana dove prevale la voglia di ubriacarsi, di inebriarsi, di far male per farsi male, potrebbe dunque non essere un caso, e somiglia maledettamente a una distorta richiesta di aiuto, o almeno di un’attenzione diversa da quella ricevuta sinora senza per questo, va da sé, giustificare bravate insulse e pericolose che restano sempre ingiustificabili.
Ma il rientro a scuola ci dice che abbiamo di fronte anche studenti pronti a rispettare quanto scritto nei protocolli, a seguire le lezioni in condizioni a dir poco disagevoli, a disporsi in fila indiana metro per metro, a sopportare qualche sgridata di troppo da parte di professori agitati e sotto pressione, un lusso che in questi tempi non ci possiamo proprio permettere.
Da tutto ciò potremmo dedurne almeno un paio di considerazioni: i giovani di oggi, più o meno consapevolmente, sono alla ricerca di qualche riferimento, che il mondo degli adulti troppo spesso non riesce più a garantire. In più, sovente possono insegnarci qualcosa in materia di comportamenti quotidiani. Le nuove generazioni non vivono di solo branco.