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Il 13 luglio del 1920, dopo un comizio, un gruppo di estremisti fascisti e nazionalisti attacca e da fuoco, a Trieste, a venti edifici tra i quali il Narodni dom, nel corso di quello che Renzo De Felice ha definito ‘il vero battesimo dello squadrismo organizzato’. L’incendio, domato solamente il giorno successivo, ridurrà in cenere gli ambienti modernamente arredati, i libri, gli strumenti musicali, gli archivi, e con essi gran parte del patrimonio culturale degli sloveni di Trieste. Secondo Gaetano Salvemini l’obiettivo immediato che i fascisti e i nazionalisti si erano proposti di realizzare attraverso l’incendio del Narodni dom sarebbe stato quello di sabotare le trattative italo-jugoslave per la questione di Fiume e dei confini tra i due paesi.
Se da quel punto di vista si può dire che l’obiettivo fu mancato, le conseguenze del rogo saranno gravi e di lunghissima durata, divenendo il Narodni dom, simbolo dell’inizio delle persecuzioni fasciste contro gli slavi della Venezia Giulia. L’incendio e la devastazione del “Balkan” e degli altri edifici segneranno l’inizio esplicito di una dura e violenta politica di oppressione etnica, che il fascismo e nazionalismo triestini e giuliani perseguiranno per tutto il ventennio nei confronti della minoranza slava. Prima ancora della emanazione in Italia delle leggi fascistissime, gli sloveni e i croati rimasti nei loro territori vedranno chiudere, uno dopo l’altro, con disposizioni amministrative e atti di violenza, i loro centri culturali, i giornali, le società sportive e ricreative, le casse rurali, le cooperative e ogni altra organizzazione.
Il Rdl n. 1796 del 15 ottobre 1925 proibirà tassativamente l’uso di lingue diverse dall’italiano in tutte le sedi giudiziarie. Tutti gli atti redatti in lingua diversa da quella italiana sono da considerarsi come non presentati. Se la trasgressione è commessa da un giudice, ufficiale giudiziario o da altro impiegato giudiziario, esso è sospeso dal servizio. In caso di recidiva esonerato. Analoghi provvedimenti saranno presi per tutti gli uffici pubblici ed anche nei negozi e nei locali pubblici sarà proibito l’uso delle lingue locali.
Il regio decreto n. 800 del 29 marzo 1923 aveva già imposto l’italianizzazione della toponomastica, arrivando con il Rd n. 17 del 10 gennaio 1926 all’italianizzazione forzata dei cognomi (il regio decreto 7 aprile 1927, n. 494 estenderà a tutti i territori delle nuove Provincie le disposizioni contenute nel decreto-legge 10 gennaio 1926, n. 17, circa la restituzione in forma italiana dei cognomi delle famiglie della Venezia Tridentina).
Anche le leggi sulla scuola (la riforma Gentile sancirà formalmente l’obbligo dell’uso dell’italiano come unica lingua di istruzione nelle scuole del Regno, con la possibilità in aree mistilingui di studio della lingua locale in ore aggiuntive, previa richiesta delle famiglie all’inizio dell’anno scolastico. Con il Rdl 22 novembre 1925, verrà definitivamente abolito l’insegnamento delle lingue minoritarie, togliendo anche la possibilità delle ore aggiuntive nelle scuole elementari) e la religione asseconderanno la volontà del regime, costringendo alle dimissioni maestri e prelati dissidenti.
Proprio da Trieste, non casualmente, Benito Mussolini annuncerà il 18 settembre 1938, l’imminente promulgazione delle norme razziali sul territorio italiano.
L’ebraismo mondiale è stato, durante sedici anni, malgrado la nostra politica, un nemico irreconciliabile del Fascismo - affermava nel tristemente noto discorso il duce - Nei riguardi della politica interna, il problema di scottante attualità è quello razziale Anche in questo campo noi adotteremo le soluzioni necessarie. Coloro i quali fanno credere che noi abbiamo obbedito ad imitazioni, o peggio, a suggestioni, sono dei poveri deficienti, ai quali non sappiamo se dirigere il nostro disprezzo o la nostra pietà. Il perché sono abituati ai lunghi sonni poltroni. E’ in relazione con la conquista dell’Impero, poiché la storia ci insegna che gli imperi si conquistano con le armi ma si tengono con il prestigio, occorre una chiara, severa coscienza razziale che stabilisca non soltanto delle differenze ma delle superiorità nettissime (...) Il problema ebraico è dunque un aspetto di questo fenomeno. La nostra posizione è stata determinata da questa incontestabilità dei fatti. L’ebraismo mondiale è stato, durante i sedici anni, malgrado la nostra politica, un nemico irreconciliabile del Fascismo. In Italia la nostra politica ha determinato, negli elementi semiti, quella che si può oggi chiamare, si poteva chiamare, una corsa vera e propria all’arrembaggio. Tuttavia, gli ebrei di cittadinanza italiana, i quali abbiano indiscutibilmente meriti militari e civili nei confronti dell’Italia e del Regime, troveranno comprensione e giustizia. In quanto agli altri, seguirà una politica di separazione. Alla fine, il mondo dovrà forse stupirsi, più della nostra generosità che del nostro rigore, a meno che, i nemici di altre frontiere e quelli dell’interno e soprattutto i loro improvvisati e inattesi amici, che da troppe cattedre li difendono, non ci costringano a mutare radicalmente cammino.
Concludeva Mussolini: “Dopo quanto vi ho detto io vi domando: c’è uno solo fra voi di sangue e di anima italiana che possa per un solo istante dubitare dell’avvenire della vostra città unita sotto il simbolo del Littorio, che vuol dire audacia, tenacia, espansione e potenza? Non abbiate qualche volta l’impressione che Roma, perché distante, sia lontana. No, Roma è qui. È qui sul vostro Colle e sul vostro Mare; è qui nei secoli che furono e in quelli che saranno; qui, con le sue leggi, con le sue armi, e col suo Re”. In piazza dell’Unità il 18 settembre ci sono 150-200 mila persone. È "il primo atto antisemita mediatico del regime", spiega lo storico Marcello Pezzetti, il segno che le cose precipitano.