PHOTO
Sei mesi dopo l’evento digitale “Idee per una finanza sostenibile” realizzato a febbraio scorso da Fisac, molto partecipato e apprezzato, l’attualità del tema resta e, se possibile, ha ancora più forza. Anche nelle oltre trecento pagine del Piano nazionale di ripresa e resilienza, l’ormai famoso Pnrr, il sistema finanziario non è mai citato, eppure è il convitato di pietra a corollario e supporto delle missioni e delle riforme che vengono prospettate da qui al 2026 e oltre. Abbiamo la spiacevole sensazione che si dia per scontato che sarà il sistema finanziario a determinare il proprio ruolo nei cruciali anni a venire, nei quali il Paese dovrà dimostrare la propria capacità di riprogettare il futuro, determinando i cambiamenti necessari e utilizzando in modo virtuoso quella irripetibile massa di risorse economiche che ci verrà dall’Unione europea.
Siamo al già visto: anziché essere indirizzata e governata, si dà per assodato che la finanza possa fare e disfare a proprio piacimento, l’esplicitazione plastica che, al di là dei proclami della politica, è il solo “mercato” a determinare lo sviluppo. Eppure, il dramma della pandemia ci ha dimostrato come la sola logica del mercato, quella sorta di determinismo liberista che ha prodotto le politiche e le scelte economiche e sociali sbagliate degli ultimi venticinque anni, non ha funzionato. Di questo ragionammo a febbraio e su questo vogliamo continuare a riflettere.
Il punto è semplice e, allo stesso tempo, cruciale: la pandemia ha devastato, tra le molte cose, un’economia già in difficoltà, che cresceva meno della media europea già negli anni Novanta e che ha sofferto la crisi dei primi anni 2010 con maggiore intensità. Si esce da questa situazione, di crisi strutturale, e si riprende la via della crescita se si scelgono senza esitazioni alcune priorità: sostenibilità ambientale, incremento dell’occupazione e promozione del lavoro dignitoso, equità e inclusione sociale, governo dei processi di innovazione e digitalizzazione. Se, in altre parole, si sceglie la discontinuità.
La realizzazione ancorché progressiva di questi obiettivi necessita, tra le altre cose, di un sistema finanziario a supporto, al servizio del cambiamento di cui il Paese ha bisogno. Ecco perché la finanza che ci serve non è qualcosa “a prescindere”, come l’abbiamo conosciuta sin qui: la ripresa e la resilienza che dobbiamo perseguire hanno bisogno di una finanza sostenibile sotto quei molti punti di vista che a febbraio abbiamo descritto e che oggi, se li pensiamo nel quadro che delinea il Pnrr, assumono ancor maggiore attualità, pregnanza e urgenza.
Sostenibile perché in grado di operare in un contesto di regole comunitarie diverse, meno squilibrate sulle esigenze dei Paesi del centro e nord Europa e più attente alle peculiarità delle economie dell’area mediterranea. Considerare negativamente il possesso di titoli di stato nei Bilanci degli istituti bancari, o anche, se il “bail in” non venisse modificato continueremo ad avere valutazioni sbilanciate e meno obiettive di quel che dovrebbero. Sostenibile perché capace di supportare politiche di finanziamento alle imprese finalmente selettive e coerenti con gli obiettivi che ci si è posti, e perché in grado di co-determinare e garantire un sistema di garanzie tali da consentire l’utilizzo come fattore aggiuntivo di investimento nelle opere considerate strategiche ai fini della realizzazione delle missioni indicate dal Pnrr, dell’enorme massa finanziaria che con la pandemia privati e piccole imprese hanno destinato al risparmio. Sostenibile perché capace di riscoprire il valore del territorio e l’importanza di ripopolare con la presenza di sportelli finanziari tutte le aree, al di là delle specificità e a prescindere, ribaltando la logica imperante, dal solo ritorno economico, ma come servizio alle comunità locali perché non è sufficiente il solo home banking che, tra l’altro, si fonda su una infrastrutturazione digitale che è ancora un miraggio in vaste zone del nostro Paese.
Una finanza sostenibile, infine, perché parte integrante di un’azione coordinata di contrasto e riduzione delle disuguaglianze, dove le parole lascino il posto ai fatti, dove l’accesso al credito non sia un ostacolo spesso insormontabile per giovani, donne, pensionati e per molte piccole e piccolissime imprese. E ancora una finanza che dia il proprio contributo alla lotta all’evasione, al riciclaggio.
Siamo testardamente convinti che dobbiamo continuare a parlare di tutto ciò, determinati a contribuire al cambiamento. Non abbiamo bisogno di proclami, ma di fatti concreti, che ci facciano compiere tanti piccoli e grandi passi in avanti. Per andare oltre la denuncia, per passare dalla critica alla proposta abbiamo il dovere di costruire alleanze. In almeno tre direzioni: confederale, sindacale, istituzionale. L’attenzione e il sostegno che il segretario generale della Cgil mostra, ad esempio, nella complicata vicenda che riguarda Monte Paschi di Siena è un segnale importante che ci dà fiducia. Dobbiamo costruire una convergenza unitaria con le altre sigle dei nostri settori, e con i sindacati degli altri Paesi europei, perché abbiamo bisogno anche del loro impegno, del loro contributo e della loro forza.
Ancora: dobbiamo costruire alleanze al di fuori del perimetro sindacale: con le tante associazioni che si occupano dei temi che intendiamo affrontare, sviluppando anche un rapporto dialettico ma costruttivo con la politica e le Istituzioni, ciascuno nel proprio ruolo e con la propria autonomia. Infine, dobbiamo usare quella che è senza dubbio la nostra arma per eccellenza: la contrattazione. In settori dove il tasso di sindacalizzazione è mediamente al di sopra del 70%, possiamo davvero contare sulla nostra capacità di costruire fatti negoziali utili al perseguimento degli obiettivi sopra descritti, cogliendo le opportunità della contrattazione utilizzandole a favore della strategia generale.
Un esempio recente che non va passato sotto silenzio è l’accordo di sostegno all’occupazione che è stato sottoscritto unitariamente dalle delegazioni trattanti del gruppo Intesa San Paolo a fronte della cessazione dell’attività italiana di RBC Investor Services Bank S.A., determinatasi a causa della “decisione strategica di ISP”, conseguente all’acquisizione del Gruppo UBI, “di recedere dal contratto in essere tra RBC e Pramerica, principale cliente di RBC”.
In gioco vi erano 78 posti di lavoro: la contrattazione ha portato al risultato di assicurare garanzie occupazionali per tutti. Particolarmente significativo che, a motivazione dell’accordo, si sia fatto esplicito riferimento anche all’Avviso comune tra governo e parti sociali dello scorso 29 giugno in materia di licenziamenti. Quell’Avviso comune da alcuni criticato e che noi, invece, senza alcun inopportuno trionfalismo, abbiamo giudicato un utile strumento per arginare la deriva dei licenziamenti dopo che il governo ha deciso, contro il nostro parere, la revoca del blocco degli stessi. L’accordo su RBC e l’Avviso comune sono, con modalità diverse, frutto della contrattazione, della capacità di argomentare, di far valere il peso della nostra rappresentatività, di ricorrere alla mobilitazione se necessario e di costruire mediazioni utili. L’accordo RBC ci dice anche che saper coniugare le acquisizioni confederali con le peculiarità della propria Categoria è importante per dare più forza alla contrattazione che facciamo in situazioni e settori diversi.
Ci attende un autunno denso di impegni e appuntamenti; saremo chiamati a confrontarci con problemi cruciali per i settori che organizziamo e decisivi per il futuro delle donne e degli uomini che rappresentiamo. Il settore finanziario più di altri è terreno di frontiera su alcuni dei processi che stanno mutando profondamente il lavoro: innovazione e digitalizzazione, uso (e abuso) del lavoro agile, pressioni commerciali sempre più pervasive e pesanti, un’organizzazione del lavoro sempre più orientata alla centralizzazione delle funzioni e delle decisioni che spinge a una speculare e parallela centralizzazione delle relazioni industriali con il conseguente progressivo indebolimento della contrattazione decentrata. Gli appuntamenti confederali dell’assemblea organizzativa prima e del congresso poi saranno occasioni che la Fisac e la Cgil tutta non dovranno sprecare. Ma alla nostra categoria è richiesto un impegno difficile e specifico da subito per non subire quei processi e quelle conseguenze.
Potremo riuscirci se sapremo mettere in campo le nostre armi migliori: puntualità nell’analisi, capacità di esprimere in autonomia idee e proposte, forza contrattuale e efficacia della nostra iniziativa sindacale e di mobilitazione. Tra comunicati ufficiali e indiscrezioni giornalistiche più o meno attendibili, negli assetti del sistema finanziario italiano si stanno delineando ulteriori cambiamenti. Non si parla, però, quasi mai di quale futuro si stia disegnando per la finanza italiana, in termini di competitività del sistema, di prospettive occupazionali, di professionalità e innovazione, della quantità e, soprattutto, della qualità dei servizi finanziari che sono e saranno offerti ai cittadini.
Eppure, affinché si riesca a produrre una vera trasformazione del sistema creditizio all’insegna della eticità e sostenibilità bisogna delineare opportunità concrete che rendano queste strade appetibili e convenienti per investitori che operano sui mercati come le banche. La riconversione ambientale è doverosa sul piano strategico e morale e può, anche, rappresentare una straordinaria occasione per generare sviluppo nelle aree meno avanzate del Paese e il Mezzogiorno d’Italia potrà essere certamente protagonista di questo auspicato cambiamento. Mentre si riconverte verso produzioni sostenibili sul piano ambientale si può generare un effetto positivo anche sul piano sociale creando occupazione. Il settore finanziario potrà favorire o rallentare questo processo, per noi la direzione è chiara: finanza sostenibile sul piano ambientale e sociale vuol dire favorire l’economia che tiene conto del proprio impatto ambientale e che crea posti di lavoro. Bisognerebbe incentivare, obbligare e agevolare queste trasformazioni per rendere interessante svoltare verso la sostenibilità. È la politica che deve prendersi in carico questo impegno a dimostrazione di una reale esigenza di discontinuità.
Nino Baseotto è segretario generale Fisac Cgil