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Quanto può essere lungo un mese? Per Colleferro, lo scorso settembre, è stato lunghissimo. La “piccola città operaia modernista, folta di antenne radio”, come la definì Guido Piovene in Viaggio in Italia, è apparsa per ben due volte sulla mappa dell’informazione nazionale. Per poi scomparire di nuovo. La prima volta, il 6 settembre, con il brutale omicidio di Willy Monteiro Duarte, che ha riempito la piazza del municipio di stormi di giornalisti, con taccuini, microfoni e telecamere in quantità. Poi, il 5 ottobre, è stata la volta del taglio del nastro del nuovissimo e colossale magazzino bianco di Amazon, sorto in pochi mesi una manciata di chilometri più in là, appena dopo il casello autostradale. In mezzo a questi due eventi, c’è questa città-fabbrica, cresciuta intorno allo stabilimento di esplosivi all’inizio del secolo scorso, con la sua storia fatta di lavoro, inquinamento, ‘monnezza’. E tanti dubbi sul suo futuro.
La città-fabbrica
Siamo a soli 56 chilometri da Roma, percorsi verso sud lungo le curve della Casilina, o sull’Autostrada del sole, oppure lungo le vecchie e malmesse rotaie della Regionale Roma-Napoli. Ma pare davvero tutto un altro mondo rispetto alla Capitale. Prima di entrare in città, su una collina s’innalza il profilo inquietante di un enorme inceneritore di rifiuti, col suo intreccio di tubi e condotte arrugginite. Poi, nel bel mezzo della prima rotatoria utile, un missile bianco che pare pronto a spiccare il volo da un momento all’altro. Su un’altra rotonda, in fondo, una grande spina di colaggio del missile europeo Ariane. Poco più in là, proprio in mezzo alla città e a 30 metri dalla stazione, il colossale cementificio che incombe su tutto il resto, mentre anche gli enormi capannoni della Avio Spazio e della Simel Difesa sono parte integrante del tessuto urbano.
La storia industriale di Colleferro, insomma, è tutta in bella evidenza. D’altronde, qui, è nata prima la Bpd e solo dopo la città. La fabbrica di esplosivi fondata nel 1912 da Giovanni Bombrini e Leopoldo Parodi Delfino su imbeccata di Giolitti serviva a produrre la polvere da sparo necessaria alla guerra prossima ventura. L'abitato, poco dopo, fu disegnato dall’ingegner Riccardo Morandi, quello del viadotto di Genova, per alloggiare operai e impiegati. La fabbrica era la città, e la città era una fabbrica. Non è un caso se sull’altare della centralissima e razionalissima chiesa di Santa Barbara s’ammira un gigantesco mosaico (opera di Marino Mazzacurati, e finanziato proprio dalla vedova Parodi-Delfino nel 1967) in cui la santa è avvolta in un lampo di luce, e protegge la grande fabbrica, disegnata nei più minuti dettagli. Poi, negli anni Sessanta, superati i santi a difendere l’industria locale ci hanno pensato i fanti, quelli della Cassa del Mezzogiorno. Il confine segnato allora tra centro e sud è proprio qui. La provincia di Frosinone, la "Porta del Meridione", è a un tiro di schioppo.
Prendi i soldi e scappa
“Colleferro ha un valore in qualche modo emblematico. - ci spiega Claudia Bella, della segreteria della Cgil di Roma sud, Pomezia e Castelli –, nonostante faccia parte dell'area metropolitana di Roma, sta anche dentro l’area di crisi complessa di Frosinone e della Valle del Sacco. Quindi è un territorio che vive ancora oggi una situazione difficile, e che paga le conseguenze negative di un'industrializzazione affrettata. Le aziende, qui intorno, sono nate grazie ai finanziamenti della Cassa del Mezzogiorno. Poi, come in buona parte del resto del Meridione, finiti i soldi, le società hanno abbandonato il territorio lasciando un'eredità molto pesante, sia sul fronte occupazionale che su quello ambientale”.
Colleferro, in effetti, era già finita al centro dell’interesse mediatico nazionale una quindicina di anni fa. Quando alcune grosse vacche bevendo dal fiume Sacco erano crollate a terra stecchite, intossicate da un prodotto chimico sversato nottetempo. Grazie a quell’evento spettacolare venne finalmente alla luce la travagliata vicenda del fiume Sacco, uno dei corsi d’acqua più inquinati d’Italia. “L'inquinamento qui ha radici lontane e fonti diverse - ci racconta Alberto Valleriani, ambientalista di Retuvasa, la più agguerrita delle tante associazioni nate nel frattempo -. Nel 2005 venne istituito il Sito di bonifica di interesse nazionale, e da allora il risanamento ha seguito lentamente il suo corso. Ultimamente c’è stata una ridefinizione dei confini: parliamo di circa 7.300 ettari, 19 comuni e 79 aziende coinvolte”.
Monnezza revolution
La deindustrializzazione, insomma, ha lasciato macerie difficili da smaltire. Così come difficili da smaltire restano le tonnellate di rifiuti provenienti da Roma. “Quando andò in crisi la grande industria, che aveva portato danni importanti all’ambiente, qualcuno pensò bene che quel sistema poteva essere soppiantato dalla cosiddetta economia della 'monnezza'. Quindi alla fabbrica fu sostituita l'economia degli inceneritori e della discarica”, racconta il giovane sindaco Pierluigi Sanna, rieletto per un secondo mandato con percentuali bulgare del 75%. A Colleferro sono stati infatti piazzati due impianti di termovalorizzazione (uno completamente di proprietà di Lazio Ambiente, società della Regione, e uno in joint ventures con l'Ama di Roma) e un’enorme discarica. L’obiettivo era smaltire le tonnellate e tonnellate di rifiuti provenienti da Roma. Nel gennaio scorso, però, sono stati chiusi dopo una vera e propria rivolta popolare, che ha spinto migliaia di cittadini a protestare e che ha trovato una sponda importante nel sindaco Sanna. “Abbiamo portato in piazza oltre 6.000 persone su una popolazione di 20.000. Per quasi un anno abbiamo mantenuto un presidio per non far passare il materiale che serviva a riaccendere l’inceneritore. Abbiamo dimostrato di non essere una popolazione a bassa reattività sociale, una periferia degradata”, racconta Amalia Perfetti della sezione Anpi cittadina.
“Nei tempi in cui è stato pensato il termovalorizzatore era un impianto che aveva un valore – spiega poi Fabrizio Samoré, segretario generale della Fp Cgil locale –, ma ormai esistono esperienze molto più avanzate nella gestione dei rifiuti”. Il problema è il solito: la chiusura degli impianti fa bene all’ambiente, ma non fa altrettanto bene al lavoro. Tre anni fa gli inceneritori e la discarica impiegavano 400 dipendenti, ora siamo a una cinquantina, in ulteriore diminuzione. “È stato fatto un grosso lavoro di ricollocazione. Si sta pian piano cercando di chiudere anche gli ultimi pezzi – continua Samoré -. Il problema è cominciare a fare investimenti che vadano verso la riduzione del prodotto che viene mandato a termovalorizzazione, il cui ruolo dovrebbe diminuire nel corso del tempo.” Intanto, è atteso per il 2022 l'esordio del nuovo compound, che a regime tratterà 220 mila tonnellate l’anno di rifiuti, lavorati per produrre biometano.
L’industria che resiste
Insomma, se per l’ambiente qualcosa, anche se lentissimamente, pare cominciare a muoversi da queste parti, per l’occupazione la strada appare più lunga e addirittura meno chiara. In realtà, a Colleferro, resistono alcuni baluardi dell’industria pesante, che impiegano ancora almeno 1.500 dipendenti su tutto il territorio: la Simel Difesa (che produce armi), Avio spazio (missili lanciatori per i satelliti) e la Joyson, ex Kss (airbag). “Le prime due lavorano in un comparto protetto, e non hanno risentito della crisi, né del coronavirus – spiega Walter Cassone, segretario della Filctem -. Avio Spazio è direttamente riferibile al Ministero e i suoi volumi sono costanti, lo stesso vale per Simel Difesa. La Joyson, invece, ha vissuto una crisi profondissima, facendo ricorso alla mobilità e tagliando molti giovani dipendenti. Ora però sono stati acquisiti dal gruppo Takata, e le cose sono cambiate”. Non se la passa bene, invece, la Italcementi, enorme cementeria al centro della città. “Dopo le crisi economiche degli ultimi anni abbiamo avuto un calo evidente di occupati - racconta Marco De Luca, operaio e delegato Fillea -. Nel 2011 qui dentro lavoravano 182 persone, più vari operai e trasportatori dell'indotto, oggi siamo rimasti in 115. Sono aumentati i carichi di lavoro e c’è un invecchiamento generalizzato. Questa era una fabbrica importante per il territorio, oggi lo è molto meno”.
Amazon, mon amour?
È in questo contesto che a Colleferro è piombato il ciclopico hub di Amazon. Nel giro di pochi mesi, nonostante la pandemia, il colosso di Besoz è riuscito a tirare su due enormi capannoni in piena campagna, a pochi chilometri dal centro città. Il nuovo mega-magazzino rappresenta il sesto centro di distribuzione in Italia, dopo Castel San Giovanni, Passo Corese, Vercelli, Torrazza Piemonte e Castelguglielmo-San Bellino. E promette almeno 500 posti di lavoro entro tre anni. Al taglio del nastro, il 6 ottobre, il sindaco Sanna ha accolto il progetto come manna dal cielo. Alcune realtà associative locali, invece, si sono dimostrate a dir poco scettiche. “Si fanno molti discorsi su Amazon – ci racconta a mente fredda il sindaco -, ma in realtà Amazon è solo una parte del nostro rilancio, che sta tutto nell’economia dello spazio e della logistica, non solo in alcune aziende, anche se importanti”. Amazon insomma solleva, per l’ennesima volta, il problema di un modello che sia davvero sostenibile per questo territorio.
Secondo Stefano D’Andrea, segretario della Filt, il gigante bianco avrà “un impatto molto importante per questo territorio”. Una piattaforma del genere “caratterizzerà in maniera decisiva un’area come questa”, in cui “le infrastrutture già ci sono”. “Non mi stupirei se un domani ci fosse la possibilità di “iniziare un discorso sull’interporto per il trasbordo ferro/gomma - continua -, e Amazon in quest’ottica può diventare un grande biglietto da visita. Dovremo essere pronti a lavorare presto per le stabilizzazioni". “Ci giunge voce che l’offerta di lavoro, almeno sui contratti di somministrazione, sarà prevalentemente precaria - spiega infatti Norberto Benemeglio, segretario del Nidil -. Il modello che si propone è basato su un probabile ed esagerato turn-over. A giugno, come Cgil, abbiamo anche chiesto un incontro per capire quali siano i reali progetti di Amazon, ma non abbiamo avuto risposta. Per adesso stiamo monitorando la somministrazione, e prevediamo un tempo ultra-determinato di massimo tre mesi”. Nidil, Filt e Camera del lavoro, in ogni caso, hanno già ipotizzano la creazione di uno sportello presso la sede di Colleferro dedicato proprio ai futuri lavoratori Amazon.
“Sicuramente tutto quello che crea occupazione e sviluppo è positivo – sintetizza Claudia Bella -, però anche in questo caso ci sono opportunità e criticità. Sicuramente noi vigileremo. Perché pensiamo che questo territorio meriti uno sviluppo e un’occupazione di qualità. Non consentiremo più a nessuno di venire su questo territorio a fare la spesa e poi lasciare la monnezza in senso reale ma anche metaforico”.
Un nuovo modello di sviluppo
Quello su cui tutti sembrano d’accordo, però, è che qui sia davvero necessario un cambio di passo e l’elaborazione di un nuovo modello di sviluppo. Per Colleferro e la Valle Sacco, tra l’altro, nel marzo 2019 è stato stipulato un accordo di programma quadro tra la Regione Lazio e il ministero dell'Ambiente per la bonifica ambientale, e ora ci sono varie azioni da compiere per destinare i 53,6 milioni di euro stanziati. “Infatti, non siamo all’anno zero. - continua Claudia Bella - Sarebbe poi possibile reperire altri fondi attraverso il Recovery fund e la nuova programmazione europea 2021-2027. C’è insomma la possibilità di costruire un nuovo modello economico che sia finalmente all'insegna della sostenibilità ambientale e sociale, trasformando il risanamento in una leva di sviluppo che non metta più in contrapposizione lavoro e ambiente”. Il progetto che il sindacato propone punta alla rigenerazione urbana, riqualificando questi luoghi e restituendoli alla comunità. “Colleferro deve e può diventare veramente un laboratorio di politiche attive per provare reinserire chi ha perso il lavoro - conclude Silvia Ioli, segretaria generale della Cgil locale -. Ci sono tante, forse troppe, storie come quella di Colleferro in Italia. Allora davvero da qui possiamo ripartire per sperimentare un nuovo modo sostenibile per creare ricchezza e lavoro di qualità.”