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Una stanza vuota. Annunciata da mesi, ancora non operativa, che di fatto non esiste. Di questo si parla da giorni in Piemonte, dopo che il TAR regionale ha ritenuto non urgente il ricorso presentato dalla Cgil e dall’associazione Se non ora quando per sospendere il percorso di realizzazione, all’interno dell’Ospedale Sant’Anna di Torino, della cosiddetta “stanza dell’ascolto”, un progetto voluto dall’assessore al Welfare Maurizio Marrone, in quota Fratelli d’Italia, concepito per fornire supporto alle donne incinta, per “aiutarle a superare le ragioni che potrebbero indurle ad abortire”. E chi dovrebbe fornirlo questo supporto, per altro già previsto dalla legge 194 del 1980 e affidato ai consultori familiari che devono assistere la donna in stato di gravidanza? Il supporto, secondo quanto stabilito dalla convenzione firmata tra la Città della Salute e il Movimento per la vita, dovrebbero organizzarlo i privati. Insomma, i consultori previsti per legge e amministrati dallo Stato, cui mancano sempre i finanziamenti necessari per funzionare perfettamente, sarebbero affiancati da una struttura che di fatto non esiste ancora e che sarebbe amministrata dai privati di Pro Vita, ideologicamente contrari all’aborto.
Un progetto che, ancora una volta e a pochi mesi dalle elezioni regionali previste per maggio, tenta di fare politica e creare consenso giocando sulla pelle delle donne, cercando di rendere più lungo e tortuoso l’eventuale percorso verso l’esercizio di un diritto sancito dalla Legge 194, mai come negli ultimi anni sotto attacco. In questa e in molte altre regioni.
In realtà lo scontro è tutto politico visto che, come sottolineano i ricorrenti, di questa stanza per adesso non c’è neanche l’ombra. Tante dichiarazioni partite da destra l’hanno già fatta diventare un simbolo ma, concretamente, la stanza per adesso resta vuota. E il fatto che il Tribunale Amministrativo Regionale non abbia ritenuto urgente il ricorso non è una sconfitta, come sottolineano dalla Cgil e da Se non ora quando, visto che “il TAR ha deciso di discutere nel merito della questione del ricorso”, consentendo ai ricorrenti di argomentare per esteso le motivazioni che hanno destato tanta preoccupazione per un progetto ritenuto “una grave intromissione di associazioni private nella scelta libera delle donne”.
Il ricorso
E allora vediamole, nel merito, le ragioni presentate nel ricorso. La convenzione, sottoscritta lo scorso 28 luglio tra la Città della Salute e della Scienza di Torino e l’Associazione centro di aiuto alla vita e movimento per la vita G. Foradini di Rivoli non è mai stata notificata o comunicata ai ricorrenti. “La stipula di questo accordo – si legge nelle carte presentate dalla Cgil e da Snoq – non è stata preceduta da alcuna procedura comparativa che abbia visto la partecipazione di altre associazioni. Peraltro, tale atto non è stato né autorizzato né recepito in alcun atto deliberativo della Azienda Sanitaria Convenuta”. Insomma, oltre a “dimenticarsi” di informare soggetti che sono parte attiva in questo ambito, non c’è stata alcuna gara per affidarne la realizzazione.
“La convenzione è diretta ad affidare, presso il presidio Ospedaliero S. Anna, all’Associazione di Rivoli un servizio, come si vedrà, sostanzialmente svincolato dai criteri di imparzialità propri del servizio pubblico, di supporto e ascolto delle donne gestanti che vivono la gravidanza ‘con difficoltà e potrebbero prendere in considerazione la scelta di interromperla’”.
“È bene, sin da ora e per chiarezza – si legge nelle carte del ricorso – ricordare che già la Regione Piemonte aveva proceduto con propri atti a finanziare, tra le altre, anche le associazioni private allo scopo generico di cooperare ‘al sostegno delle gestanti e alla tutela della vita nascente’. In particolare, anche i criteri di accesso ai finanziamenti enunciati dalla delibera della Giunta regionale neppure lasciavano presagire un affidamento ai soggetti privati, in modo autonomo ed esclusivo, con conseguente dotazione di appositi spazi, di funzioni per la legge sull'interruzione della gravidanza riservate ad operatori pubblici con specifica qualificazione professionale, con ciò alterando completamente la procedura legale concernente la tutela della donna e della sua libertà di esprimersi sull'interruzione della gravidanza”.
“È stupefacente questa Convenzione – è il commento della Cgil –. Che non si limita a concretizzare la progettazione dell'uso dei finanziamenti, ma trasferisce per intero alle associazioni private Pro Vita il compito squisitamente pubblico, per giunta delicatissimo, di dare ‘ascolto’ e ‘supporto’ alle donne ‘che potrebbero prendere in considerazione la scelta dell'interruzione della gravidanza’, con il solo dichiarato fine, per se stesso posto come ideologicamente orientato, di ‘far superare le cause che potrebbero indurre (...) all'interruzione della gravidanza’, come si evince dal primo articolo della Convenzione”.
“Di fatto assistiamo alla dismissione di ogni governo pubblico del servizio in vista dell'interruzione della gravidanza a favore di un suo trasferimento ad associazioni private che lo eserciteranno attraverso personale scelto, in totale discrezionalità, dal Presidente dell'Associazione, che ha anche il potere di assegnare a ciascuna unità del personale stesso i compiti da svolgere. Prevedendo una compartecipazione solamente ‘eventuale’ del ‘personale sanitario a ciò disponibile’”.
Ce n’è abbastanza per restare sconcertati. Se non fosse che, nonostante la firma della Convenzione sia stata apposta a luglio e se ne parli da tempo, questa stanza non esiste. Il sospetto che sia soltanto l’ennesima bandiera da sventolare in campagna elettorale non cancella la gravità della situazione. Né la certezza che questa destra continua a fare politica sulla pelle dei più deboli. Oggi le donne incinta in situazioni di difficoltà, ieri i migranti. Domani chissà…Avanti il prossimo.