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La sera del 7 agosto 1944 Irma Bandiera, Mimma, viene arrestata. Ferocemente torturata dai fascisti della Compagnia autonoma speciale per sette giorni e sette notti resisterà senza parlare, preservando così i suoi compagni partigiani. Sarà fucilata, nei pressi della casa dei suoi genitori, il 14 agosto.
Scriverà Renata Viganò:
Un giorno il 7 agosto 1944, le mani di quella gente da galera afferrano il suo corpo, credevano, battendo a sangue la carne tiepida e pura, di spaventarne l’anima. Rimasero sconfitti, con i loro brutti visi arrabbiati. Le stavano sopra, la picchiavano, la torturavano, e lei zitta. Ognuno di loro inventava una cosa nuova per farle del male, se ne gloriavano l’un l’altro del loro talento, ma lei zitta. Quei nomi di compagni, di dirigenti, di responsabili che essi volevano tirare fuori dalla sua bocca, rimanevano lì, sconosciuti, inafferrabili, in mezzo agli urli e ai lamenti. Erano poche sillabe, e avrebbero denunciato tanta gente; i torturatori le promettevano la libertà, la salvezza, in cambio di quelle poche sillabe. Ma la piccola Irma non diceva niente, in mezzo ai suoi lamenti. Si augurava di morire, che facessero presto d’ammazzarla, per smettere di soffrire. Gridava quando il dolore era più grande della sua forza, però non diceva niente. E Tartarotti e gli altri come lui, che prendendola si sentivano sicuri di un grande bottino attraverso le sue parole, ecco, erano sconfitti. Lei moriva, l’avevano ammazzata inutilmente, chiudeva gli occhi con gioia, dopo tanto male, e non aveva detto niente. Si trovavano con questo cadavere di ragazza, non sapevano dove metterlo, un dolce corpo giovane, un bel viso morto. Non sapevano più cosa farsene, adesso; l’avevano ammazzata a furia di torturarla, lei non aveva detto niente. La più ignominiosa disfatta della loro sanguinante professione si chiamava Irma Bandiera.
L’assassinio di Mimma, compiuto anche per scoraggiare pericolosi tentativi di emulazione, finirà per produrre l’effetto contrario. Irma Bandiera diventerà il simbolo della lotta condotta da migliaia di donne che ne avevano seguito e ne seguiranno l’esempio.
Stando ad alcuni calcoli fatti dall’Anpi, furono 35.000 le partigiane combattenti, 20.000 le patriote con funzioni di supporto, 70.000 le donne appartenenti ai Gruppi di difesa per la conquista dei diritti delle donne, 5.000 circa le donne arrestate, torturate e condannate dai tribunali fascisti, circa 3000 le deportate in Germania. I compiti ricoperti dalle donne durante la Resistenza al nazifascismo sono molteplici e il loro ruolo si differenzia in base al periodo cronologico e al luogo in cui esse si trovano.
Oltre che assistere i feriti e gli ammalati e contribuire alla raccolta di indumenti, cibo e medicinali, le donne partecipano portando il loro contributo alle riunioni politiche ed organizzative e all’occasione sanno anche cimentarsi con le armi. Ricoprono tutti i ruoli: sono staffette - o più correttamente ufficiali di collegamento - portaordini, infermiere, dottoresse, vivandiere, sarte; diffondono la stampa clandestina, trasportano cartucce ed esplosivi nella borsa della spesa, sono le animatrici degli scioperi nelle fabbriche.
Atti di sabotaggio, interruzione delle vie di comunicazione, aiuto ai partigiani, occupazione dei depositi alimentari tedeschi, approntamento di squadre di pronto soccorso sono solo alcuni dei compiti portati avanti con coraggio e tenacia dalle donne, cui bisogna aggiungere anche la loro attività di propaganda politica e di informazione. Il loro contributo non si limita alle azioni dirette: le donne partecipano ai grandi scioperi del Nord, di più, li organizzano, sostituiscono i loro uomini quando chiedono pane, vestiti, carbone, migliori condizioni che mitighino la durezza del conflitto armato. E muoiono in quelle manifestazioni.
Le foto delle partigiane col fucile oggi sembrano scontate, ma per anni non hanno circolato. La Resistenza delle donne non è stata uguale a quella degli uomini e per molto tempo è rimasta avvolta nel silenzio.
“È nella Resistenza - diceva Marisa Rodano alla Camera dei deputati in occasione del 70° anniversario della Liberazione - che le donne italiane, quelle di cui Mussolini aveva detto 'nello stato fascista la donna non deve contare'; alle quali tutti i governi avevano rifiutato il diritto di votare, la possibilità di partecipare alle decisioni da cui dipendeva il loro destino e quello dei loro cari, entrano impetuosamente nella storia e la prendono nelle loro mani. Nel momento in cui tutto è perduto e distrutto - indipendenza, libertà, pace - e la vita, la stessa sussistenza fisica sono in pericolo, ecco le donne uscire dalle loro case, spezzare vincoli secolari, e prendere il loro posto nella battaglia, perché combattere era necessario, era l’unica cosa giusta che si poteva fare”.
E Irma combatte. Muore, e morendo vince. Muore sorridendo. Un sorriso - bellissimo - consegnato alla storia, monito per il presente e per il futuro.