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Che la pandemia abbia radicalmente cambiato il nostro modo di lavorare, di studiare, di interagire, è chiaro a tutti, tanto da poter sostenere senza ombra di dubbio che l’emergenza sanitaria ha decretato il definitivo ingresso dell’accesso al web tra i servizi universali, quelli portatori di diritti fondamentali. Questo, in estrema sintesi, è quanto sostenuto in ultimo ieri dal Censis, con il rapporto dal titolo “Il valore della connettività nell’Italia del dopo Covid-19”.
La tecnologia viene oggi percepita come un diritto alle “relazioni”, siano esse interpersonali, familiari o legate al bisogno di acquistare beni o servizi dal 91% degli intervistati. Un diritto abilitatore di altri diritti: di espressione, di informazione, ma anche allo studio, e in taluni casi persino alla salute o al lavoro.
Questo porta l’86,3% degli italiani a dire che l’accesso a internet deve essere garantito a tutti, ovunque e comunque (la percentuale sale al 93,6% tra i giovani).
Su questo punto sorprende positivamente una certa consapevolezza degli intervistati riguardo alle caratteristiche che determinano la scelta del proprio operatore di rete, che vanno oltre la ricerca del prezzo più vantaggioso, guardando alle prestazioni garantite in termini di velocità di connessione, qualità e fluidità dei contenuti (52,6%), affidabilità, presenza di servizi di sicurezza informatica, che tutelino dal rischio di truffe online (31,1%), protezione dei minori (19,7%), impegno esplicito e concreto dell’operatore per la tutela dell’ambiente (10,6%). “Si tratta di un insieme di variabili ritenute imprescindibili: il 44,3% degli italiani si dice pronto a pagare qualcosa in più per averle.”
Inoltre, sebbene per l’88,9% degli italiani la propria connessione su linea fissa ha funzionato bene durante l’emergenza sanitaria Covid-19, l’esigenza di far convivere nella stessa abitazione attività lavorative, di studio, di svago ha reso evidente l’indispensabilità di una connessione su linea fissa con prestazioni sempre più stabili e affidabili. (Rispetto a questo 13 milioni di italiani sono intenzionati a potenziare la propria connessione nei prossimi mesi, mentre 3 milioni che non ce l’hanno sono intenzionati ad attivarla).
Infine, nelle quasi 60 pagine che dettagliano i dati relativi alle modalità con cui i 46 milioni di italiani dotati di una connessione a internet si rapportano con la tecnologia e con il web, salta all'occhio, positivamente, il fatto che oltre il 60% degli intervistati chiede che la tecnologia 5G sia subito operativa "certificando che visioni distorte e fake news che ipotizzano rischi per la salute legati al suo utilizzo hanno scarsa presa sui cittadini".
Questa percentuale sale ulteriormente tra i giovani (77,3%) e arriva al 67,4% tra i laureati.
Non è un tema di nostra competenza ma certamente appare singolare che studi improvvisati sulla presunta nocività del 5G possano pensare di orientare le grandi scelte dell’Italia e dell’Europa legate alla modernizzazione, allo sviluppo della conoscenza e alla competitività del Paese. In ogni caso, secondo quanto riportato dal Censis, solo il 14,4% si dichiara contrario al 5G, ritenendolo dannoso per la salute, mentre la quota di chi non sa cosa sia è del 25,3%, con valori elevati tra coloro che posseggono bassi titoli di studio (39,2%) ed anziani (36,5%).
In questo momento storico, in cui con il Pnrr è previsto come è noto lo stanziamento di risorse importanti per le Reti ultraveloci (banda larga e 5G), lo studio del Censis rappresenta un ulteriore stimolo a fare presto e bene sul tema delle infrastrutture digitali, che rappresentano, a nostro avviso, l’autostrada su cui far correre la digitalizzazione e il futuro del nostro Paese.
Barbara Apuzzo è la responsabile delle Politiche e sistemi integrati di telecomunicazioni della Confederazione