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Il definanziamento del sistema sanitario nazionale è un fatto. Nel 2023 il rapporto della spesa sanitaria italiana rispetto al Pil è sceso dal 6,8% al 6,3%, quando la media Ue e quella Ocse sono del 7,1% (Rapporto Gimbe 2023). L'esplosione delle liste di attesa non è altro che una manifestazione evidente di questo trend: i tagli alla sanità e la carenza di personale continuano a produrre ritardi e disservizi nel governo della domanda di prestazioni.
Secondo il report “La salute non può attendere”, monitoraggio sul 2023 e i primi quattro mesi del 2024 realizzato da Federconsumatori con la Fondazione Isscon e il contributo dell’Area stato sociale e diritti della Cgil, quattro milioni di persone in Italia rinunciano alle cure per problemi economici o legati alle difficoltà di accesso ai servizi.
I dati fanno emergere tempi lunghissimi in quasi tutta Italia per riuscire ad avere una prestazione medica. Il record se lo aggiudica la Lombardia, con 735 giorni di attesa per un’ecodoppler cardiaca all’Ospedale di Magenta. 677 giorni occorrono invece a Legnano (Milano) per una prima visita oculistica, mentre per la stessa visita ne servono 523 a Gemona (Udine). A Chiavari, in Liguria, si attendono 645 giorni per una colonscopia e 356 giorni per una visita programmata dermatologica (il limite massimo sarebbe di 120 giorni).
È a causa di questi ritardi e disservizi che aumenta inevitabilmente la spesa diretta per la salute a carico delle famiglie, che nel 2021, secondo i dati Istat, è arrivata alla cifra monstre di 41 miliardi di euro. Ma le differenze sociali e territoriali rispetto alla capacità di spesa sono enormi e questo allarga inevitabilmente le disuguaglianze. Cosa potrebbe accadere con l'avvento dell'autonomia differenziata? Questa è di certo un’ulteriore fonte di preoccupazione.
Intanto, di fronte a questo quadro, il recente decreto del governo Meloni sulle liste d'attesa, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il giorno prima delle elezioni europee, non ha fatto altro che riproporre misure già previste, ma mai attuate. Nel suo “Dataroom” Milena Gabanelli ha osservato che il decreto è a "risorse zero”, quando il problema, come visto, vale diversi miliardi.
“Probabilmente nemmeno il ministro si attende da questo decreto d’urgenza effetti positivi sull’abbattimento delle liste d’attesa – ha commentato Daniela Barbaresi, segretaria confederale Cgil - Le aspettative più importanti potrebbero risiedere in chi cerca consenso politico e interesse economico a discapito dell’oculata gestione dei denari pubblici e dell’interesse delle persone. In realtà – conclude Barbaresi – per affrontare il problema delle liste di attesa servono soprattutto risorse da investire nel suo personale: quello in forza e quello da assumere al più presto”.