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In Italia cresce sempre di più il tasso che fa più male: quello della povertà. È senza dubbio il dato più doloroso contenuto nell’ultimo Rapporto dell’Istat. Secondo l’istituto di statistica l’incidenza della povertà assoluta è al 9,8% tra gli individui e all’8,5% tra le famiglie: i livelli più alti degli ultimi dieci anni. E i numeri assoluti sono ancora più impressionanti: parliamo, infatti, di un totale di 2 milioni 235 mila famiglie e di 5 milioni 752 mila individui.
L'incidenza della povertà assoluta familiare è più bassa nel Centro (6,8%) e nel Nord (8%) e più alta nel Sud (10,2%) e nelle Isole (10,3%). Lo stesso accade per quella individuale. Nell'arco del decennio considerato, l'incidenza della povertà assoluta a livello familiare è salita dal 6,2 all'8,5%, e quella individuale dal 6,9 al 9,8%: Rispetto al 2014 sono aumentate di 683 mila unità le famiglie in povertà e di circa 1,6 milioni gli individui in povertà.
Il reddito di cittadinanza: un errore eliminarlo
Interessanti anche le considerazioni sul reddito di cittadinanza, smantellato dall’attuale governo. L’Istat, con l’oggettività dei numeri, rileva che tra il 2020 e il 2022 l'erogazione del Rdc ha permesso di uscire dalla povertà a 404 mila famiglie nel 2020, 484 mila nel 2021 e 451 mila nel 2022. Per quanto riguarda gli individui, l'uscita dalla povertà ha riguardato 876 mila persone nel 2020 e oltre un milione nel 2021 e nel 2022. Senza questa misura anche l'incidenza di povertà assoluta familiare nel 2022 sarebbe stata superiore di 3,8 e 3,9 punti percentuali nel Sud e nelle Isole.
I lavoratori? Vulnerabili
Nel Rapporto si legge che nonostante i miglioramenti osservati sul mercato del lavoro negli ultimi anni, l'Italia conserva una quota molto elevata di occupati in condizioni di vulnerabilità economica: insomma si è poveri anche lavorando. Se infatti è vero che il tasso di disoccupazione a marzo 2024 è sceso fino al 7,2%, “tra il 2013 e il 2023 – si legge nel Rapporto – il potere d'acquisto delle retribuzioni lorde in Italia è diminuito del 4,5% mentre nelle altre maggiori economie dell'Ue27 è cresciuto a tassi compresi tra l'1,1 della Francia e il 5,7% della Germania”.
Sul tema del lavoro povero interessante anche il fatto che il part-time – spesso obbligatorio – tra le donne è quattro volte superiore rispetto a quella degli uomini, rispettivamente al 31,4 contro il 7,4%. Più della metà dei lavoratori a tempo parziale, prosegue il Rapporto, "vorrebbe lavorare di più.
La piaga dello spopolamento
Tra i dati negativi anche quello dello spopolamento. L’inverno demografico non dà segnali di passi indietro. Nell'ultimo decennio la popolazione italiana è diminuita di oltre un milione di persone. Hanno subìto un intenso declino demografico in prevalenza le regioni del Mezzogiorno (-4,7%), a fronte di una perdita complessivamente trascurabile del Centro-Nord (-0,3%).
Fatto ancora più grave i giovani sono i principali protagonisti del calo demografico. Nel 2023 in Italia c'erano poco più di 10 milioni 330 persone tra 18 e 34 anni, con una perdita di oltre 3 milioni dal 2002 (-23,9 per cento). Rispetto al picco del 1994, il calo è di circa 5 milioni (-32,3 per cento).
La riduzione dal 2002 al 2023 è stata del 28,6% nel Mezzogiorno, a causa della denatalità e della ripresa dei flussi migratori, contro il 19,3 nel Centro-Nord, dove il fenomeno è attenuato da saldi migratori positivi e dalla maggiore fecondità dei genitori stranieri.
Landini: “La precarietà taglia salari e diritti”
“I dati sul crollo del potere d’acquisto dei salari, i tre milioni di giovani che decidono di lasciare il Paese, la crescita del lavoro povero e la persistenza dei divari di genere, certificati dal rapporto annuale dell’Istat, dimostrano come in questi mesi il governo abbia voluto presentare una realtà inesistente e descrivono un Paese in grave difficoltà, che necessita di urgenti misure a sostegno delle fasce più deboli”. Lo afferma il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini.
“Nel nostro Paese in molti casi - prosegue il leader della Cgil - si è poveri pur lavorando. Per questo è necessario anzitutto aumentare i salari rinnovando, attraverso la contrattazione e introducendo un salario orario minimo, tutti i contratti, pubblici e privati. Come pure è necessario rivalutare le pensioni”.
La condizione che emerge dal rapporto Istat – conclude Landini – è figlia di scelte precise che negli ultimi vent’anni hanno impoverito il mondo del lavoro, attraverso leggi sbagliate che ne hanno incentivato la precarizzazione, e dimostra che la precarietà taglia i salari e i diritti. La nostra battaglia, anche attraverso i referendum abrogativi, si pone l’obiettivo di contrastare le scelte fatte finora, anche dall’attuale maggioranza”.