PHOTO
La dignità umana va preservata dentro e fuori dalle carceri sempre, per cui rieducare le persone recluse significa aiutarle a tirar fuori la consapevolezza della possibilità di vivere diversamente, senza considerare il reato come unica possibilità di sopravvivenza a una situazione di disagio economico. Significa metterle nelle condizioni di riscattarsi attraverso il lavoro.
Diffondere la cultura del lavoro all’interno delle carceri è uno dei presupposti per facilitare il cambiamento di percorsi di vita devianti, e per dare piena attuazione ai principi costituzionali e dell'ordinamento penitenziario sulla funzione rieducativa della pena.
Il lavoro delle persone recluse rappresenta uno strumento educativo nel momento in cui è riconosciuto, è tutelato ed è retribuito nella detenzione stessa. L’organizzazione lavorativa in carcere deve rispecchiare quella della società libera, al fine di far acquisire una preparazione professionale adeguata alle normali condizioni lavorative e dunque agevolare il reinserimento sociale.
Per attuare l’anello di congiunzione tra il carcere e la società è necessaria un’attività costante che rompa la logica dell’assistenzialismo e metta al centro la persona e il raggiungimento dell’obiettivo dell’inclusione sociale nel rispetto delle pari opportunità.
Bisogna partire dunque da percorsi di orientamento al lavoro, bilancio di competenze e percorsi di studio personalizzati, che diano sbocchi occupazionali concreti fuori dalle carceri. Occorre creare, altresì, figure professionali che il mercato del lavoro esterno richiede, favorendo l’incrocio tra domanda e offerta di lavoro.
Oggi, difficilmente si riesce a costruire un percorso di reinserimento che consenta alla persona reclusa di svolgere anche all’esterno l’attività che svolgeva in carcere, per cui è fondamentale che le istituzioni e le parti sociali lavorino in sinergia per attuare e favorire quel percorso flessibile e personalizzato di reinserimento attivo nella collettività che elimini il senso di emarginazione dalla società, dovuto soprattutto al problema dell’etichettamento, e che aumenti la fiducia nelle proprie capacità e riduca drasticamente i rischi di recidiva.
Nella mia esperienza di educatrice professionale presso la comunità del centro di giustizia minorile di Palermo, ho rilevato che la ricaduta nel reato è più alta nei vissuti di estrema marginalità e povertà e nei nuclei familiari altamente conflittuali, dove si consumano abitualmente atti di violenza e maltrattamenti. La recidiva aumenta se in famiglia ci sono componenti con precedenti penali e, quindi, oltre al progetto personalizzato dei giovani che include la scuola, sane opportunità di tempo libero, orientamento al lavoro, sono altrettanto importanti interventi di supporto e di affiancamento alle famiglie per rispondere al disagio che sfocia nel compimento di atti illegali.
Occorre creare le condizioni per poter individuare e sviluppare con la persona un progetto di vita lontano dai circuiti criminali e agevolare le assunzioni stabili che permettano l’inclusione socio-economica, l’integrazione e l’inserimento nella comunità sociale.
Serve un grande lavoro culturale che dimostri come i percorsi lavorativi che garantiscono dignità, diritti e autonomia sono un valore non solo per la persona che è stata reclusa, ma per tutta la collettività, perché il carcere è, e deve essere, parte della società civile, e non un’entità estranea. Questo lo scopo del Consiglio di aiuto sociale da poco riattivato presso il Tribunale di Palermo, che si occupa dell'assistenza penitenziaria e post penitenziaria perseguendo l’obiettivo di rispondere ai bisogni reali delle persone per agevolare il reinserimento nella vita sociale.
Come Cgil porteremo il nostro contributo e impegno concreto, nel Comitato per l’occupazione degli assistiti, per la diffusione della cultura della legalità e del riconoscimento dei diritti, in un lavoro di rete volto a individuare gli interventi sul piano sociale necessari e alternativi al welfare mafioso.
Laura Di Martino, componente del Comitato per l’occupazione degli assistiti per conto della Cgil di Palermo