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Viviamo il tempo di una società che ha smesso d'indignarsi di fronte alle copiose notizie riportate dagli organi d'informazione, mentre riferiscono quale sia il volto invisibile dei lavoratori agricoli sfruttati, sottopagati e assoggettati a inenarrabili soprusi di caporali e di tanti datori di lavoro fuori dalle regole. L’ennesimo blitz dell’Ispettorato del lavoro e dei reparti speciali dei carabinieri di qualche giorno fa nelle campagne del Brindisino, dove sono stati individuati 28 braccianti stranieri al lavoro, sottopagati e, sei di essi, senza copertura assicurativa, quindi, in assenza di contratto, non solleva più le coscienze. È solo l’ultimo episodio di una lunga cronaca, tra i tanti già archiviati. Dalla Daunia al Salento, sono continui e costanti gli interventi degli organi ispettivi impegnati a combattere una guerra, spesso impari, a causa della scarsità di uomini e mezzi. Ma l’idea che la dignità del lavoro nel nostro Paese possa essere calpestata e i diritti derubricati a un elemento trascurabile, ci porta a dover certificare come sia possibile lavorare senza essere retribuiti.
Lo sfruttamento lavorativo in agricoltura e il caporalato sono pratiche particolarmente combattute dalla Flai, la categoria della Cgil che si occupa di rappresentare i lavoratori dell’agroalimentare, da anni impegnata con il sindacato di strada per fare emergere quanto pervaso e inquinato sia il sistema produttivo agricolo pugliese che, tuttavia, conferma notevoli capacità nelle produzioni di qualità e ad elevato valore commerciale, anche oltre i confini nazionali, ma che il tutto non si traduce in ricchezza per gli addetti. Purtroppo, la spregevole situazione di sfruttamento dei braccianti stranieri è solo la punta dell’iceberg di un fenomeno apparentemente inarrestabile. Ne sanno qualcosa i lavoratori agricoli locali, come pure le migliaia di donne braccianti pugliesi trasportate dai pullman dei 'caporali dal colletto bianco' che, da una provincia all’altra della regione, percorrono in lungo e largo centinaia di chilometri, spesso 'sconfinando' verso i campi del Metapontino o della Basilicata o del Molise.
Le ragioni per cui emergono quasi esclusivamente situazioni di sfruttamento di lavoratori stranieri sono ascrivibili semplicemente a una maggiore propensione alla denuncia del proprio stato di coercizione, non dissimile da quella dei braccianti locali. È importante che le azioni mirate a contrastare il lavoro illegale e sfruttato realizzino le attività di polizia previste, ma si tratta pur sempre di una soluzione parziale al problema. La legge 199/2016, la norma conosciuta come 'legge anti-caporalato', chiede ai soggetti del settore, quindi anche alle organizzazioni professionali, di costruire buone pratiche per garantire l’incrocio tra domanda e offerta di lavoro, con modalità trasparenti e tracciabili presso un luogo istituzionale quale può essere l’Inps. Insomma, sono disponibili gli strumenti per consegnare il salto di qualità al settore in ogni provincia della Puglia: la normativa ha consegnato ai soggetti istituzionali e alle parti sociali il compito di costruire i nodi territoriali della Rete del lavoro agricolo di qualità, la sola in grado di attivare sistemi organizzati come il collocamento pubblico basato su liste di prenotazione, il trasporto e gli alloggi per i lavoratori stranieri. La volontà di applicare le regole, purtroppo, non è scritta nelle norme, ma dev'essere pretesa quando quelle regole devono condurre al vivere civile di un Paese. A nessun soggetto è data la facoltà di sottrarsi.
Antonio Gagliardi è segretario generale della Flai Cgil Puglia