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All’alba del 10 agosto 1944, a Milano, 15 partigiani sono prelevati dal carcere di San Vittore e portati in piazzale Loreto. Qui vengono fucilati da un plotone di esecuzione composto da militi fascisti del gruppo Oberdan della legione Ettore Muti guidati dal capitano Pasquale Cardella agli ordini del comando tedesco. Dopo la fucilazione a scopo intimidatorio i cadaveri sono lasciati esposti sotto il sole della calda giornata estiva, coperti di mosche, fino alle ore 20 circa. Un cartello qualifica i partigiani fucilati come ‘assassini’.
“Attorno la gente muta, il sole caldo - scriveva il poeta Franco Loi, testimone della tragedia - Quando arrivai a vederli fu come una vertigine: scarpe, mani, braccia, calze sporche; (...) ai miei occhi di bambino era una cosa inaudita: uomini gettati sul marciapiede come spazzatura e altri uomini, giovani vestiti di nero, che sembravano fare la guardia armati!”. “Formavano un gruppo tragicamente disordinato, per via del sangue, delle pose scomposte, dell’essere in una piazza quasi a contatto coi passanti - ricordava Camilla Cederna - Uno addosso all’altro, pieni di mosche, sotto un sole tremendo, chi con le braccia aperte, chi rannicchiato; e sui cadaveri un cartello: 'Il comando militare tedesco'. La gente, silenziosa e atterrita, che gli girava intorno, una vecchietta rimproverata perché si era fatto il segno della croce, mentre non è stato detto niente a un uomo che, presa bene la mira, ha sparato nel mucchio. Erano giovanissimi e anziani, in tuta blu o in giacca qualsiasi, tutti verdastri in faccia, sangue dappertutto, e i bambini che non smettevano mai di andare in prima fila ad osservarli meglio. Era uno spettacolo che non dimenticherò mai, e che mi ha riempito di dolore e vergogna”.
“L’ultimo volto che vedo, abbandonando la piazza, è quello di un repubblichino, che ride istericamente - raccontava anni fa Giovanni Pesce (Visone) - Quel riso indica l’infinita distanza che ci separa. Siamo gente di un pianeta diverso. Anche noi combattiamo una dura lotta, in cui si dà e si riceve la morte. Ma ne sentiamo tutto l’umano dolore, l’angosciosa necessità. In noi non è, non ci può essere nulla di simile a quello sguardo, a quella irrisione di fronte alla morte. Loro ridono. Hanno appena ucciso quindici uomini e si sentono allegri. Contro quel riso osceno noi combattiamo. Esso taglia nettamente il mondo: da un lato la barbarie, dall’altro la civiltà. Noi abbiamo scelto di vivere liberi, gli altri di uccidere, di opprimere, costringendoci a nostra volta ad accettare la guerra, a sparare e a uccidere. Siamo costretti a combattere senza uniforme, a nasconderci, a colpire di sorpresa. Preferiremmo combattere con le nostre bandiere spiegate, felici di conoscere il vero nome del compagno che sta al nostro fianco. La scelta non dipende da noi, ma dal nemico che espone i corpi degli uccisi e definisce l’assassinio ‘un esempio’”.
La strage è portata a compimento dopo nemmeno quarantotto ore dalle esplosioni che la mattina dell’8 agosto nel tratto di viale Abruzzi che conduce a piazzale Loreto hanno fatto saltare in aria un camion tedesco provocando il lieve ferimento dell’autista e la morte di alcuni passanti tutti italiani. Il comandante dei Gap, Giovanni Pesce, negherà sempre che quell'attentato potesse essere stato compiuto da qualche unità partigiana. “Il modo della fucilazione era stato quanto mai irregolare e contrario alle norme - annotava il Prefetto di Milano in un suo suo promemoria per il duce - I disgraziati non avevano neppure avuto l’assistenza del sacerdote, che non si nega neppure al più abbietto assassino (...) Alle mie rimostranze, i comandanti nazisti hanno risposto tutti allo stesso modo: l’esecuzione era stata un’applicazione del bando del Maresciallo Kesselring (ndr : 10 italiani per un tedesco) L’impressione in città perdura fortissima e l’ostilità verso i tedeschi è molto aumentata. Vi sono stati anche scioperi parziali in alcuni stabilimenti e corre voce che se ne prepari uno domani (...) Non Vi nascondo che mi sento profondamente a disagio nella mia carica, giacché il modo di procedere dei tedeschi è tale da rendere troppo difficile il compito di ogni autorità e determina una crescente avversione da parte della popolazione verso la Repubblica” (nel 1999 l’unico sopravvissuto tra i responsabili nazisti della strage, Theodor Saevecke, allora capo della Gestapo a Milano, sarà condannato all’ergastolo in contumacia dal tribunale militare di Torino).
“Il sangue di Piazzale Loreto lo pagheremo molto caro”, sembra abbia risposto il duce alle ragioni del promemoria. Frase quanto mai profetica, macabramente anticipata da un articolo pubblicato dallo stesso Mussolini il 26 giugno 1920 sulle colonne del Popolo d’Italia in occasione dell’uccisione di un brigadiere dei carabinieri, avvenuta - proprio a piazzale Loreto - durante una manifestazione di ferrovieri. “La storia italiana - scriveva il futuro capo del fascismo - non ha episodi così atroci come quello del piazzale Loreto. Nemmeno le tribù antropofaghe infieriscono sui morti. Bisogna dire che quei linciatori non rappresentano l’avvenire, ma i ritorni all’uomo ancestrale (che, forse, era moralmente più sano dell’uomo civilizzato”.
Alle 3 e 40 di domenica 29 aprile 1945 i cadaveri di Benito Mussolini, Claretta Petacci e dei fucilati il giorno precedente raggiungono Piazzale Loreto, una meta né casuale né improvvisata, ma meditata per il suo valore simbolico. Qui vengono scaricati a terra, proprio dove le vittime della rappresaglia nazifascista del 10 agosto 1944 erano state abbandonate in custodia ai militi fascisti della Legione Muti impedendo ai familiari di portarli via. “La scelta non era stata improvvisata quella notte - dirà Walter Audisio - era stata suggerita dai nostri compagni milanesi; e io avevo in mente la staccionata, il piazzale, quell’angolo del piazzale, dalla sera del 10 agosto 1944” (parzialmente diversa la versione fornita da Aldo Lampredi nella lettera inviata nel maggio 1972 alla Direzione del Pci).
“Un’epoca si chiude con questo giorno - scriverà l’Unità il 30 aprile 1945 - Il labaro nero si alza funereo sulle salme. Il popolo guarda i suoi nemici vinti per sempre nella piazza sacra ai suoi martiri. Ma un altro giorno la stessa folla aveva mormorato “vendetta”, mentre i carnefici schiaffeggiavano le madri e minacciosi puntavano i mitra sui figli in lacrime. Non si va contro il popolo. Oggi che giustizia è fatta s’alza tremendo dalla folla un monito: non si va contro il popolo. I maggiori responsabili della tragedia italiana giacciono senza vita nello stesso luogo in cui caddero i quindici martiri. L’ombra di questi è placata”.