Rimane alto il livello di attenzione sui possibili effetti della crisi finanziaria mondiale sul sistema dei fondi pensione italiani. Dopo le prime notizie rassicuranti diffuse dalla Covip, la Commissione di vigilanza dei fondi pensione, c’è ora da verificare l’effettivo grado di penetrazione dei titoli “tossici” in tutti i portafogli dei fondi e cercare di capire al più presto gli effetti dello tsunami finanziario. Il problema, a quanto pare, riguarda soprattutto i fondi pensione aperti e le polizze, quindi riguarda in primo luogo le società di gestione del risparmio, le banche e le assicurazioni, mentre i fondi pensione negoziali hanno dimostrato maggiore accortezza e sono stati toccati molto meno dall’inquinamento dei titoli divenuti in pochi giorni carta straccia con il crollo di Lehman Brothers, la crisi di altre banche-giganti e la “nazionalizzazione” di grandi compagnie di assicurazione. La maggiore esposizione e quindi il maggior danno sono stati sicuramente quelli relativi ad alcune gestioni previdenziali di categorie di professionisti. Sembra un paradosso, ma le gestioni previdenziali che sono risultate più esposte ai titoli tossici sono state quelle di categorie professionali considerate forti e considerate tra le più “performanti” e aggressive. Alcune gestioni (dai dentisti ad altre categorie di professionisti) hanno rivelato infatti una conduzione per lo meno allegra degli investimenti dei contributi dei loro aderenti e hanno dovuto ammettere l’esposizione.
Per tutti i risparmiatori e i lavoratori autonomi (ma anche dipendenti) che hanno preferito affidarsi alle polizze o a fondi “aperti”, dopo la bordata Lehman Brothers, è arrivata anche la crisi islandese. Il problema riguarda in particolare tutti i possessori di polizze index linked e in particolare Vita index linked. Si tratta di contratti assicurativi – come spiegano gli esperti - che prevedono normalmente la garanzia della restituzione dei premi versati alla scadenza, oltre a eventuali rivalutazioni ottenibili nel caso in cui un determinato indice o paniere di titoli si dovesse rivalutare. Ma il trucco sta nella restituzione del capitale, perché a garantirla non è la compagnia assicurativa che ha venduto il prodotto, ma un terzo soggetto: l'emittente che sta alla base del funzionamento di questo contratto. Lehman Brothers figurava come controparte di numerosi prodotti assicurativi, cosa che ha determinato il rischio per una settantina di index linked collocate da svariate compagnie italiane. La storia si è ripetuta poi con altre polizze, finora almeno una trentina per le quali le compagnie non sono più in grado d'indicare quotazioni. Tre gli istituti di credito islandesi coinvolti: Glitnir, Landsbanki Islands e Kaupthing Bank che, dopo essersi pesantemente indebitate a breve termine e aver investito a medio lungo termine, sono finite in amministrazione controllata. Le sorti dei possessori di obbligazioni e index sono quindi legate al futuro del piano di salvataggio islandese.
C’è anche da ricordare, come ha scritto Il Sole 24 ore, che il primo allarme su alcune di queste polizze era arrivato a maggio di quest’anno dalla Consob. Già a quel tempo la Commissione di controllo sulla borsa aveva suggerito ad alcune compagnie collocatrici di index "islandesi" d'inserire un avviso sul proprio sito internet in cui si annunciava il peggioramento della situazione finanziaria delle banche garanti delle polizze. Allora i risparmiatori avvisati avrebbero potuto riscattare a quotazioni senz'altro più vantaggiose. Chi non lo ha fatto in quel momento, ha perso il treno perché ora molte delle index linked in questione non sono più in grado di calcolare un prezzo operativo e i possessori non hanno dunque la possibilità di disinvestire.
Per quanto ne sappiamo invece, l’impatto della crisi finanziaria sui fondi pensione negoziali italiani (quelli dei lavoratori dipendenti) risulta per ora limitato, a differenza di quello che sta succedendo per i fondi dei lavoratori dipendenti e autonomi americani. In Italia è stata molto ridotta e delimitata l’esposizione a prodotti “tossici” come quelli della Lehman Brothers (banca che tra parentesi i gestori consideravano tra le cinque migliori del mondo fino a pochi mesi fa, anzi fino alla vigilia dello scoppio della bolla) e sembra per ora abbastanza limitata anche l’esposizione generale verso altri prodotti finanziari che sono stati coinvolti nel terremoto di Wall Street. Finora è emerso un quadro abbastanza “rassicurante”, anche se nessuno nasconde il forte calo dei rendimenti dovuto alla continua flessione delle borse negli ultimi mesi, flessione che era evidente anche molto prima dello scoppio della bolla dei subprime americani.
Vediamo dove sono finiti i prodotti più velenosi, che hanno inquinato in pochissimo tempo tutto il sistema finanziario. Per quanto riguarda in particolare i prodotti Lehman, la Covip, in una recente audizione in Parlamento tenuta dal presidente facente funzioni, Bruno Mangiatordi, ha sostenuto che su 600 fondi analizzati, solo 16 avevano acquistato azioni o obbligazioni della banca americana fallita. Secondo i dati forniti da Mangiatordi ai parlamentari (la relazione in commissione si può scaricare sia dal sito della Covip, sia da quello del Senato), risulta che non solo il numero dei fondi esposti è stato limitato, ma che è stata ridotta anche la quota di patrimonio legata a tali prodotti “tossici”: solo lo 0,5 per cento. E se questa è la media dell’esposizione patrimoniale, anche a livello di singoli portafogli l’esposizione verso Lehman Brothers non ha superato mai l’1 per cento.
L’audizione di Mangiatordi in Commissione al Senato ci ha rivelato comunque due notizie importanti. La prima riguarda l’attivazione della stessa Covip nel momento in cui si è manifestata la crisi dei subprime. I commissari della vigilanza hanno preso contatto con tutti i fondi pensione italiani, già prima dell’estate, per verificare la presenta di investimenti legati ai fondi immobiliari americani crollati con lo scoppio della bolla. La seconda “mossa” della Covip è stata quella più recente: la riattivazione del monitoraggio su tutti i tipi di esposizione dei portafogli dei fondi ai titoli a rischio. Una terza notizia correlata – di cui si è parlato poco sui giornali in questi giorni – riguarda la richiesta dei fondi (esaudita) di aumentare il limite di detenzione di liquidità, che secondo le norme deve stare entro il 20 per cento del patrimonio. La richiesta è stata accettata in via temporanea, vista l’eccezionalità della situazione.
Per riassumere, dunque, l’esposizione dei fondi negoziali (o fondi chiusi, o contrattuali), ovvero dei fondi delle categorie di lavoro dipendente italiani, ai titoli Lehman è stata limitata: questi prodotti compaiono appunto solo in 16 casi su 600. La notizia che è stata più enfatizzata riguarda il fondo pensione contrattuale più importante, quello dei metalmeccanici: Cometa, 3,6 miliardi gestiti. Anche in questo caso, comunque, come hanno spiegato subito in modo trasparente, i responsabili, l’esposizione a Lehman Brothers equivaleva allo 0,10 per cento. I prodotti finanziari della banca americana erano poi concentrati in uno solo dei comparti del fondo, ovvero la linea “reddito”. Da quello che si è potuto sapere, non è chiara ancora l’esposizione complessiva del fondo ad altri prodotti bancari che sono stati coinvolti successivamente nella crisi. In ogni caso è anche significativo il fatto che il presidente di Cometa, Fabio Ortolani, abbia chiesto un incontro urgente con il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi per valutare un’eventuale richiesta di sostegno straordinario. Cometa, d’altra parte, è reduce da molti mesi di performance scarse che hanno abbassato i rendimenti e quasi sempre li hanno portati al di sotto del rendimento del Tfr.
Tra i pochi fondi che hanno dichiarato di possedere titoli Lehman ci sono poi anche Fonchim, secondo fondo pensione italiano in ordine di importanza, il fondo dei lavoratori chimici, considerato il battistrada dei fondi pensione made in Italy. Fonchim gestisce oggi 1,6 miliardi di euro e ha dichiarato una esposizione per lo 0,18 per cento in obbligazioni Lehman Brothers sul totale del patrimonio gestito. Le obbligazioni, secondo fonti giornalistiche, si sono concentrate in due comparti, mentre complessivamente il peso di tutte le azioni Usa nel portafoglio risulta inferiore all’1 per cento. Fonchim risulta invece abbastanza esposto nella parte dei bond, con un 5,83 per cento del comparto Moneta di cui circa il 3 per cento della Morgan Stanley e della Goldaman Sachs. Tutto il resto, ovvero circa il 60 per cento riguarda bond di banche europee.
Altri fondi che sono risultati parzialmente esposti ai fondi Lehman sono Previmoda, il fondo pensione dei lavoratori dell’industria tessile e della moda e il fondo Fondoenergia, con una esposizione esigua pari allo 0,008 per cento. Altri nomi che sono comparsi nella lista dei fondi che avevano acquistato Lehman sono Solidarietà Veneto, il fondo pensione dei lavoratori autonomi del Veneto, Previcooper, dipendenti della distribuzione cooperativa con una esposizione molto esigua (0,029) e Fopen, il fondo pensione dei lavoratori dell’Enel. Fa pensare anche l’esposizione dichiarata di Previambiente, il fondo pensione dei lavoratori dell’igiene ambientale che si è caratterizzato in questi ultimi anni come uno dei fondi più avanzati dal punto di vista dell’investimento responsabile e perfino etico. Anche se molto esigua, anche Previambiente ha dovuto dichiarare un’esposizione dello 0,09 per cento ad azioni Lehman Brothers. Nel portafoglio dei lavoratori ambientali italiani ci sono però anche obbligazioni Goldman Sachs e Morgan Stanley.
Il lungo viaggio dei titoli "tossici"
I fondi pensione negoziali dei dipendenti italiani sembrano al sicuro: su 600 prodotti analizzati dalla Covip, solo 16 avevano azioni della Lehman. Più a rischio la gestione previdenziale di alcune categorie di professionisti
20 ottobre 2008 • 00:00