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Serve il lavoro per uscire da un percorso di violenza, serve non solo per l’indipendenza economica, ma per l’autodeterminazione della donna che ne è vittima, serve ad evitare che la violenza maschile si traduca anche in uno "svantaggio sociale” permanente. Da questo assunto fondamentale nasce un esperimento, fortemente innovativo, che è stato lanciato lunedì 6 novembre in Umbria, più precisamente in Alto Tevere, dagli 8 Comuni che fanno parte di questa zona sociale, insieme ai sindacati, Cgil, Cisl e Uil, a Confindustria e all'Agenzia regionale per le politiche attive del lavoro (Arpal) dell’Umbria.
In rete contro la violenza
Il protocollo sottoscritto prevede che i servizi sociali del Comune di Città di Castello (capofila di zona), su indicazione del centro antiviolenza “Medusa”, gestito dall’Associazione Liberamente Donna Ets, segnaleranno ai centri per l’impiego di Arpal le donne residenti negli otto comuni dell’Alta Valle del Tevere che hanno avviato un percorso di uscita dalla violenza e per le quali si ritiene opportuno chiedere l’inserimento lavorativo. Si aprirà quindi un'istruttoria per la valutazione delle competenze professionali, delle esperienze lavorative e delle attitudini, dopodiché Arpal proporrà alle aziende del territorio l’inserimento lavorativo delle persone selezionate in base ai profili richiesti. Cgil, Cisl e Uil avranno il compito di sensibilizzare le imprese sui contenuti ed opportunità del progetto, di supervisionare il rispetto dei contratti di lavoro e di promuovere forme di collaborazione che tengano conto delle fragilità legate ai vissuti di violenza. Confindustria si farà carico di sensibilizzare i propri partner su contenuti e opportunità del progetto, ma anche di comunicare le necessità assunzionali che possano essere prese in considerazione. Un lavoro di raccordo che è già iniziato e che ha visto emergere le prime disponibilità da parte di aziende del comprensorio dell’Alta Valle del Tevere.
Numeri impressionanti
"Sono i numeri a dire che abbiamo il dovere di assumerci sempre nuove responsabilità nei confronti delle donne vittime di violenza”, ha detto il sindaco di Città di Castello, Luca Secondi, in occasione della firma del protocollo. Ed in effetti i numeri, anche in una piccola regione come l’Umbria, sono impressionanti. Parliamo di 3700 donne accolte negli ultimi 10 anni solo dai centri antiviolenza di Perugia e Terni. Parliamo di 36 nuovi casi presi in carico dal Centro comunale antiviolenza “Medusa” di Città di Castello (meno di 40mila abitanti) nei primi 10 mesi dell’anno. “Spesso la dimensione reale di questo fenomeno non è chiara all’opinione pubblica, nonostante il quotidiano stillicidio dei femminicidi - commenta Maria Rita Paggio, segretaria generale della Cgil dell’Umbria - per questo il protocollo siglato a Città di Castello è davvero importante, perché rappresenta un esempio virtuoso di rete tra istituzioni, centri antiviolenza e forze sociali che, partendo dal fondamentale diritto al lavoro come strumento di emancipazione, dà una risposta concreta ad un problema che dobbiamo sentire tutte e tutti come nostra assoluta priorità”.
Andare oltre la semplice solidarietà
La Cgil, insieme allo Spi dell'Alto Tevere, ha spinto molto perché si arrivasse a questa firma: “Con questa intesa andiamo oltre la semplice solidarietà alle vittime di violenza - sottolinea Patrizia Venturini, segretaria dello Spi Cgil Alto Tevere - alle quali offriamo la concretezza di una rete di comunità tra pubblico e privato, in grado di offrire una reale via d’uscita da un vissuto di maltrattamenti e soprusi”.Venturini, che ha sottoscritto il protocollo insieme a Fabrizio Fratini (Cgil Alto Tevere e Spi Cgil Perugia), Vanda Scarpelli (Cgil Perugia) e Barbara Mischianti (Cgil Umbria), sottolinea "l’unicità di un’intesa che mette insieme Comuni, sindacati e rappresentanze datoriali di un territorio, laddove le uniche esperienze analoghe note nel nostro Paese hanno riguardato finora singole realtà aziendali”.
Ghiglione (Cgil): proveremo a estendere questa buona pratica
"L'emancipazione da un contesto violento può essere davvero garantita solo tramite il lavoro stabile e di qualità e il sindacato confederale, attraverso la contrattazione in tutte le sue declinazioni e con protocolli come questo, può fare davvero molto per promuovere l'autonomia economica delle donne e, di conseguenza, la loro libera scelta”, afferma Lara Ghiglione, segretaria nazionale della Cgil. "Il fatto che l'Italia sia agli ultimi posti di tutte le classifiche internazionali che registrano la partecipazione delle donne nella vita economica dei Paesi, la dice lunga riguardo il lavoro che abbiamo ancora da fare. La sinergia e la condivisione di intenti che si può realizzare a partire dai territori è dunque fondamentale per cambiare questo stato di cose. Proveremo a estendere questa buona pratica".