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Il 19 giugno del 1923 nel Salone dei Cinquecento a Palazzo Vecchio, a Benito Mussolini, duce del fascismo, viene solennemente conferita la cittadinanza onoraria della città di Firenze (la cittadinanza sarà ritirare nell’aprile 2009 con ventinove voti favorevoli e sette contrari. A proporre la revoca il consigliere del Pd Ugo Caffaz dopo le polemiche seguite alla concessione della cittadinanza onoraria di Firenze a Beppino Englaro, padre di Eluana).
“Essere cittadino di Firenze - diceva nell’occasione il duce - di questa città che ha segnato così indelebili tracce nella storia dello spirito umano, rappresenta il fatto memorabile e dominante della mia vita. Io non so se sono degno di tanto onore… Quello che ho fatto sin qui non è molto; però, o cittadini di Firenze, la mia volontà è incrollabile. Può fallire la carne umana, che è sempre fragile, ma non il mio spirito, che è dominato da una verità religiosa, umana: la verità della Patria. Da quando il Fascismo ha alzato i suoi gagliardetti, accese le sue fiamme, cauterizzate le piaghe che infestavano il corpo divino della nostra Patria, noi italiani, che ci sentiamo orgogliosissimi di essere italiani, noi ci comunichiamo in ispirito con questa nuova fede. Cittadini di Firenze! Vi faccio una promessa: e, siate sicuri, la manterrò! Vi prometto, e Iddio mi è testimone in questo momento della purezza assoluta della mia fede, vi prometto che continuerò ancora e sempre ad essere un umile servitore della nostra Patria adorata”.
“Il boom delle 'Predappio d’Italia' - scriveva qualche tempo fa su Patria Indipendente, periodico dell’Anpi, Giampiero Cazzato - è il periodo 1923-1924. Non è un biennio qualunque. Sono gli anni dell’arresto di Piero Gobetti, delle bastonature e dell’olio di ricino, degli assalti squadristi ai giornali dell’opposizione, dell’assassinio di Giovanni Minzoni, dell’aggressione a Giovanni Amendola. Sono gli anni delle elezioni che - complice la legge Acerbo - assicurano ai fascisti la maggioranza del Parlamento, della censura sui giornali della sinistra. Sono, ancora, gli anni segnati dall’omicidio del deputato socialista Giacomo Matteotti, reo di aver accusato in Parlamento i fascisti di aver compiuto intimidazioni e violenze di ogni tipo pur di vincere le elezioni. Quel biennio nero avrà il suo esito finale il 3 gennaio 1925 con il famoso e cupo discorso di Mussolini alla Camera («Se il fascismo è stato un’associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere! (…) L’Italia, o signori, vuole la pace, vuole la tranquillità, vuole la calma laboriosa. Noi, questa tranquillità, questa calma laboriosa gliela daremo con l’amore, se è possibile, e con la forza, se sarà necessario») che segnerà la fine della fragile democrazia liberale e il passaggio allo Stato totalitario”.
Ancora oggi sono numerose le amministrazioni comunali che non hanno revocato la cittadinanza al duce e se Napoli e Matera già nel 1944 annulleranno il provvedimento, per gran parte delle revoche si dovranno aspettare gli anni 2000. Pochi mesi fa ha scatenato molte polemiche la decisione del sindaco di Codogno, paese simbolo della pandemia, di non cancellare la cittadinanza onoraria a Benito Mussolini alla vigilia della celebrazione del 25 aprile. Ma non è solo Codogno ad avere Mussolini come cittadino onorario: il duce resta tale anche a Salò, a quasi 100 anni da quando l’onorificenza gli fu attribuita nel 1924, a Rovato, Guardiagrele, Latina, Marino, Serravalle Pistoiese… e l’elenco potrebbe ancora continuare.
Mussolini è ancora oggi cittadino onorario di Tricase, come - dal 2020 - Liliana Segre. “Vittima e carnefice non possono stare dalla stessa parte”, in tanti hanno correttamente sottolineato. Da lì una discussione che però non ha portato ad alcuna decisione definita. Ricostruire una mappa delle amministrazioni comunali che omaggiarono Mussolini è impresa non semplice.
Nell’estate del 2017 con una interrogazione parlamentare i deputati di Sinistra Italiana, Nicola Fratoianni, Daniele Farina e Giulio Marcon chiedevano al ministro dell’Interno un censimento per sapere quali comuni avessero effettivamente revocato la cittadinanza, auspicando un’iniziativa di natura legislativa per revocare quei provvedimenti.
“La revoca della cittadinanza non rappresenta per noi - diranno - un approccio giacobino alla memoria, un’azione tesa a cancellare le tracce del passato, perché dalle colpe non ci si può assolvere. La revoca rappresenta una scelta di parte, in linea con la Costituzione repubblicana, perché non si possono onorare nello stesso elenco il fondatore e massimo esponente del fascismo e chi lo ha combattuto insieme agli antifascisti o a coloro a cui oggi la cittadinanza onoraria viene conferita per l’impegno nel dare concretezza ai principi costituzionali”. “La Storia non si cancella”, è la risposta di tante amministrazioni alla richiesta di revoca. Niente di più vero perché gli errori vanno analizzati, conosciuti e ricordati perché non si ripetano. Ma se conoscere è necessario, onorare non è legittimo.
Diceva Carla Nespolo al Consiglio nazionale Anpi del 5 novembre 2017 che la nominava segretaria: “C’è un altro rischio che molti interventi hanno sottolineato ed è quello dell’indifferenza. Va bene, abbiamo una strada intitolata ad Almirante? Ne intitoliamo una a Pertini e abbiamo risolto il problema. Non vogliamo togliere la cittadinanza a Mussolini? Gliene diamo un’altra, che so, a Terracini e siamo a posto. No, non è così che funziona. Non può funzionare così. Né per i sindaci, né per i prefetti, né per alcune istituzioni che così si comportano. L’Istituzione faccia la sua parte e non dimentichi che la Costituzione italiana non è a-fascista, la Costituzione italiana è anti-fascista. Basta rileggere il mirabile discorso di Aldo Moro alla Costituente quando in risposta, appunto, al liberale Lucifero ribadì questo concetto”.
“Teniamoci forte, perché siamo forti. Siamo l’antifascismo: il cuore democratico del nostro Paese”, così concludeva Carla il suo intervento. Teniamoci forte, anche oggi, soprattutto oggi.