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Nell'Italia al tempo del Coronavirus la scala sociale rischia di scendere piuttosto che salire. È quanto emerge dal Rapporto annuale dell'Istat. Il Paese è solcato da "disuguaglianze significative" che il Covid rischia di accentuare, allargando così i divari già esistenti, Particolarmente delicata la situazione del mercato del lavoro: mercato che si restringe per le fasce più deboli, ovvero giovani e donne. D'altronde per il 2020 è previsto un forte calo del Pil: -8,3%, che sarà recuperato solo in parte nel corso dell'anno successivo.
A metà del 2020 il quadro economico e sociale "è eccezionalmente complesso", dice l'Istituto. Il 12% delle imprese italiane pensa di ridurre l'occupazione. "Il problema del reperimento della liquidità è molto diffuso - si legge -, i contraccolpi sugli investimenti, segnalati da una impresa su otto, rischiano di costituire un ulteriore freno ed è anche preoccupante che il 12% delle imprese sia propensa a ridurre l'input di lavoro".
Allo stesso tempo, prosegue, "si intravedono fattori di reazione positiva e di trasformazione strutturale in una componente non marginale del sistema produttivo". I lavoratori in cassa integrazione ad aprile sono stati circa 3,5 milioni. Sempre ad aprile, quasi un terzo degli occupati (7,9 milioni) non ha lavorato.
Il 26,6% dei figli rischia un "downgrading" rispetto ai propri genitori. Per l'ultima generazione (i nati tra gli anni 1972-1986), la probabilità di accedere a posizioni più vantaggiose invece che salire è diminuita. L'Istat parla di "mobilità verso il basso", che risulta più alta di quella in salita (24,9%), una circostanza mai avvenuta prima nella storia italiana.
C'è poi un problema di istruzione. L'Italia presenta livelli di scolarizzazione tra i più bassi dell'Unione europea. Nel 2019, nell'area Ue-27 (senza il Regno Unito), il 78,4% degli adulti tra i 25 e i 64 anni possedeva almeno un diploma secondario superiore. In Italia, l'incidenza è del 62,1%, inferiore di oltre 16 punti.
Tanti sono gli spunti contenuti nel Rapporto. Per esempio la parabola dello smart working: durante il lockdown la quota di chi ha lavorato da casa, almeno per alcuni giorni nell'arco del mese, è cresciuta in modo esponenziale coinvolgendo oltre 4 milioni di occupati. Nel 2019 a lavorare da casa era meno di un milione di persone. "La stima dell'ampiezza potenziale del lavoro da remoto, basata sulle caratteristiche delle professioni, porta a contare 8,2 milioni di occupati (il 35,7%)".
Il Covid. come sappiamo, ha messo a dura prova la nostra sanità. Una sanità già segnata dal taglio dei posti letto, costante degli ultimi anni. L'offerta di posti ospedalieri si è ridotta notevolmente nel tempo: nel 1995 erano 356mila, pari a 6,3 per mille abitanti, nel 2018 sono 211mila, con 3,5 posti letto ogni mille abitanti. Nella Ue a 28 membri l'offerta media di posti letto è di 5,0 ogni mille abitanti. Mancano inoltre medici e infermieri rispetto alle necessità.
Una buona notizia, infine, arriva sul versante della fruizione della cultura. Durante i giorni del lockdown sono raddoppiati i lettori italiani. Si è dedicato a questa attività il 62,6% della popolazione a fronte del 29,6% rilevato nell'ultima indagine sull'impiego del tempo.