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Sono passati due anni, cinque mesi e dodici giorni da quando si è discusso per la prima volta in parlamento di una legge che possa prevenire e reprimere il fenomeno mafioso. Dall’omicidio di Pio La Torre che l’aveva per primo immaginata è trascorso molto meno: era aprile, ora siamo quasi in autunno e già la mafia ha ucciso ancora colpendo il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa.
È forse per questo che la politica accelera e il 13 settembre 1982 il parlamento vota e approva la legge 646/82 introducendo l'articolo 416-bis del codice penale: il reato di "associazione a delinquere di stampo mafioso". Le misure che vengono varate si basano sulla proposta originaria dello stesso La Torre e su due decreti-legge del ministro di grazia e giustizia Clelio Darida e di quello dell'interno Virginio Rognoni.
“Occorre spezzare il legame esistente tra il bene posseduto e i gruppi mafiosi, intaccandone il potere economico e marcando il confine tra l’economia legale e quella illegale” sosteneva La Torre, una vita di impegno spesa tra la militanza in Cgil e quella nel partito comunista. E così sarà.
L’articolo 1 del nuovo provvedimento dispone che “l'associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri, ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali”. Più avanti aggiunge che “Nei confronti del condannato è sempre obbligatoria la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto, il profitto o che ne costituiscono l'impiego”.
Quella legge compie trentotto anni e per tutti porta da sempre il nome La Torre-Rognoni. Un riconoscimento postumo del coraggio di chi l’aveva ideata e, sfidando la criminalità organizzata, aveva scelto di tornare a lavorare in Sicilia quando già i delitti di mafia erano ricominciati. Pio La Torre sapeva che lo avrebbero ucciso. In una conversazione privata con Emanuele Macaluso, pochi giorni prima dell’agguato che sarebbe costato la vita a lui e al compagno Rosario Di Salvo, aveva chiesto al dirigente del Pci di riferirlo a Berlinguer, “Mentre passeggiavamo – raccontava in occasione dell’anniversario della morte Macaluso - mi disse: ‘Dì a Berlinguer che adesso tocca a noi!’”. Era già stato condannato a morte.