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Alle 16 e 37 di venerdì 12 dicembre 1969 un ordigno esplode nel salone centrale della Banca Nazionale dell’Agricoltura di Milano: muoiono 17 persone, moltissimi saranno i feriti anche gravi. Le segreterie confederali di Cgil, Cisl e Uil esprimono con un comunicato unitario il loro sdegno.
Le reazioni alla strage di Piazza Fontana
Alla Camera dei deputati la seduta in corso viene interrotta e il presidente Sandro Pertini prende immediatamente posizione contro l’attentato affermando: “Onorevoli colleghi! Un vento di follia criminale si sta abbattendo sul nostro Paese e pare abbia quale obiettivo lo sconvolgimento della vita pacifica della nazione e lo scardinamento degli istituti democratici. I responsabili consumano i loro misfatti cinicamente disprezzando le vite umane. Noi, onorevoli colleghi, al di sopra di ogni divisione politica, con tutto l’animo nostro colmo di sdegno, di angoscia e di preoccupazione, condanniamo questi crimini, augurandoci che i colpevoli siano al più presto individuati e severamente puniti”.
Dal canto suo, la direzione del Pci invita “tutte le organizzazioni e i militanti comunisti alla vigilanza e alla iniziativa politica unitaria”.
Le testimonianze
“Una deflagrazione spaventosa squarcia l’aria - ricordava Fortunato Zinni, testimone diretto dell’attentato - Il boato è tremendo, lo spostamento d’aria mi manda lungo disteso fino alla porta d’ingresso della saletta dell’ammezzato che dà sul corridoio opposto a quello della Direzione. Avverto solo che d’improvviso è tutto buio. Dopo il boato c’è un silenzio tombale”.
“Ho udito una spaventosa deflagrazione. Ho visto che tutto crollava attorno e davanti a me. I banconi di legno degli impiegati sono letteralmente saltati in aria mentre la sala si è riempita di frammenti di vetro. Molti accanto a me sono caduti, alcuni erano sicuramente morti, altri si lamentavano”, raccontava Daniele Vaghi.
“Ero seduto al mio tavolo in un angolo del salone - aggiungeva Carlo Masanzani, funzionario della banca - Ho sentito un’esplosione, poi tutto è saltato in aria. Sono finito contro un armadio. Quando mi sono ripreso ho visto che anch’io ero ferito. Ho fatto la guerra e non mi era mai capitato di vedere una cosa simile”.
La città e il Paese sono sgomenti, scossi, sbalorditi, frastornati per l’atrocità dell’avvenimento. È il più grave fatto di sangue dal secondo conflitto mondiale.
Nel giorno dei funerali (la cerimonia verrà trasmessa dalla Rai, in rappresentanza dello Stato partecipano numerose personalità e il presidente del Consiglio Rumor) Cgil, Cisl e Uil decidono di proclamare lo sciopero generale.
I funerali e lo sciopero generale
“La nostra presenza ai funerali fu decisiva - dirà Carlo Ghezzi - la dimostrazione, confermata poi negli anni del terrorismo, che eravamo una grande forza nazionale, che la lotta per i diritti era una sola cosa con la difesa della democrazia. La parola d’ordine, come per un riflesso condizionato, era inizialmente ‘vigilanza’. Nella Camera del lavoro, nel Pci e nella sinistra c’era il timore di ulteriori provocazioni, l’idea che molti sostenevano era quella di limitarsi a presidiare le sedi. Ci fu una discussione aspra, il momento era molto confuso. Poi, quando anche la Uilm fece sapere che era per la partecipazione, la discussione finì. E con le tute blu in piazza Duomo s’impedì che la tragedia potesse essere strumentalizzata dalla maggioranza silenziosa che allora stava nascendo”.
“Il 15 dicembre - aggiungeva Antonio Pizzinato - durante la cerimonia funebre celebrata in Duomo, centinaia di migliaia di lavoratori e cittadini presidiano silenziosi la Piazza e le vie percorse dal corteo sino al Castello Sforzesco ed oltre. La giornata è buia, nebbiosa, plumbea e triste, ma il mondo del lavoro, la classe operaia con fermezza e unità sono presenti in forze e costruiscono una barriera in difesa della democrazia, delle istituzioni, contro il neofascismo e il terrorismo”.
“La piazza, quella mattina, era color del piombo fuso - scriveva Corrado Stajano (tra i primi ad accorrere sul posto) sul Corriere della Sera del 28 marzo 2012 - la copriva una cappa di nebbia, rotta soltanto dalla fioca luce dei lampioni che rischiaravano un poco la marea di donne e di uomini sgomenti di dolore. Dalle fabbriche di Sesto San Giovanni arrivarono a migliaia le tute bianche della Pirelli, le tute blu della Breda, della Magneti Marelli, della Falck che fecero da servizio d’ordine. La borghesia consapevole e la classe operaia formarono allora, con la serietà dei momenti gravi, un corpo unico nella città affratellata”.
L'iter processuale
Il lungo e tormentato iter processuale relativo ai fatti di Piazza Fontana si concluderà nel 2005 con assoluzioni complessive, ma certificando che la strage è attribuibile all’organizzazione eversiva di estrema destra Ordine nuovo.
Restano confermate in via definitiva le condanne per condotte finalizzate al depistaggio di due ufficiali del Sid e il coinvolgimento dell’esperto di armi di Ordine nuovo Carlo Digilio (reo confesso e collaboratore di giustizia).
L’ultimo processo, inoltre, ritiene dimostrato, sotto il profilo storico, il coinvolgimento nella strage dei terroristi neri Franco Freda e Giovanni Ventura (non più processabili perché già assolti in via definitiva nel primo processo).
Viva l’Italia, l’Italia del 12 dicembre,
l’Italia con le bandiere, l’Italia nuda come sempre,
l’Italia con gli occhi aperti nella notte triste,
viva l’Italia, l’Italia che resiste.
1 Un’altra bomba, fortunatamente rimasta inesplosa, viene rinvenuta, sempre nel capoluogo lombardo, nella sede della Banca Commerciale Italiana. Ancora una manciata di minuti e le esplosioni non risparmiano la capitale. Tra le 16,55 e le 17,30 ne avvengono altre tre: una all’interno della Banca Nazionale del Lavoro di via San Basilio, altre due sull’Altare della patria di Piazza Venezia.
2 “Dov’ero il giorno della strage? Proprio lì, a Milano: l’azienda mi aveva mandato al Politecnico a prendere il patentino per l’uso dei gas tossici. Ricordo l’incredulità. E un episodio buffo, come spesso accade di fronte alle tragedie, alle tragedie vere. Stavo prendendo il treno per tornare a casa, quando vidi venirmi incontro un operaio che conoscevo, si chiamava Frattini, che gridava esaltato: ‘È stata una bomba, è stata una bomba’. Sembrava quasi contento; ma, com’è ovvio, il sentimento non era questo: semplicemente, per lui era finito un incubo. Si trattava di un operaio della ditta che aveva installato le caldaie nella Banca dell’Agricoltura. La notizia della bomba aveva tardato un po’, e lui era stato tutto il tempo con il terrore che fosse scoppiata una caldaia, che insomma il lavoro suo e dei suoi compagni fosse stato fatto male”.