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Luciano Lama nasce a Gambettola il 14 ottobre 1921. Racconta la mamma: “Alla nascita, Luciano pesava più di quattro chili, aveva quasi tutti i capelli, era bellissimo. I suoi primi anni di vita li ha trascorsi un po’ qua e un po’ là, a seconda dei nostri spostamenti, come del resto Lelio. Luciano era un bambino vivacissimo. Più di una volta mi ha dato patemi d’animo perché non stava mai fermo, gironzolava per la strada, per le case dei vicini. Gli anni Venti furono particolarmente duri per la nostra famiglia, e non solo per i frequenti spostamenti a cui dovemmo assoggettarci”.
Russi, Gambettola, Forlimpopoli, Ravenna, Sasso Marconi, Cesena, Castelfranco, Bologna. Queste le tappe della famiglia Lama, che segue in pieno gli spostamenti dovuti alla professione del capofamiglia Domenico. Allo scoppio della guerra Luciano viene chiamato sotto le armi. Dopo l’8 settembre 1943 prende parte attiva alla Resistenza.
Così, il 24 luglio 1997, Sergio Flamigni, partigiano, parlamentare del Partito comunista italiano dal 1968 al 1987, membro delle Commissioni parlamentari d’inchiesta sul caso Moro, sulla Loggia P2 e Antimafia, raccontava alla Camera del lavoro di Forlì il suo ‘battesimo’: “Fu allora che, tramite i regolari collegamenti dell’organizzazione, Luciano Lama chiese di venire con noi per combattere i tedeschi ed i fascisti. Toccò a me esaminarne la biografia. Ci eravamo dati la regola che prima di ammettere nei ranghi uno nuovo, dovevamo esaminarlo attentamente, assumere tutte le informazioni possibili. A presentarmelo e a garantirlo fu uno che conoscevo come un bravo comunista, un ferroviere, amico e collega del padre di Luciano. L’incontro avvenne lungo un grande fosso, in mezzo ai campi di grano, nei pressi di San Leonardo; era presente anche un altro compagno. Parlammo a lungo. Rispose a tante domande. Man mano che parlava e raccontava, conquistava la mia simpatia. Notai che avevamo le stesse aspirazioni ideali di libertà e giustizia sociale, gli stessi gusti culturali che si nutrivano di umanesimo (….) In quell’incontro Luciano mi disse che aveva saputo da poco che il fratello Lelio era stato fucilato a Stia, assieme a numerosi partigiani fatti prigionieri dai tedeschi durante un rastrellamento in montagna; parlava angosciato e si capiva che oltre alle ragioni politiche e ideali per combattere i nazifascisti aveva quel conto aperto e pesante da regolare”.
A presentarmelo e a garantirlo - tornerà a ricordare Flamigni nel primo anniversario della morte del segretario - fu uno che conoscevo come un bravo comunista, un ferroviere, amico e collega del padre di Luciano. L’incontro avvenne lungo un grande fosso, in mezzo ai campi di grano, nei pressi di San Leonardo; era presente anche un altro compagno. Parlammo a lungo. Rispose a tante domande. Man mano che parlava e raccontava, conquistava la mia simpatia. Notai che avevamo le stesse aspirazioni ideali di libertà e giustizia sociale, gli stessi gusti culturali che si nutrivano di umanesimo; mi parlò delle sue letture dei romanzieri sociali francesi e inglesi, della sua ammirazione per gli scrittori russi Tolstoj, Dostoevskij, Gogol. Mi disse che aveva studiato scienze sociali a Firenze ed aveva potuto leggere un compendio del capitale di Carlo Marx in tedesco e difatti conosceva bene il tedesco. Luciano mi faceva sentire la nostalgia per gli studi interrotti dall’invasione tedesca. Negli anni ‘41, ‘42, ‘43 feci parte di un gruppo di giovani studenti e operai antifascisti che coi propri risparmi avevano messo insieme una biblioteca clandestina contenente anche libri di autori proibiti dal fascismo. Un giovane operaio portò in dote alla biblioteca il primo volume del capitale di Marx che era riuscito a sottrarre alla biblioteca comunale. Nei giorni festivi ci riunivamo e discutevamo sulle nostre letture. Quanta sete di libertà e quanta utopia vi era nelle nostre discussioni giovanili. Con la stessa sete di libertà e con gli stessi orizzonti di utopia mi capiterà di discutere con Luciano e con tanti altri compagni della nostra Brigata sulla società futura che avremmo costruito in Italia dopo la cacciata dei nazifascisti. In quell’incontro Luciano mi disse che aveva saputo da poco che il fratello Lelio era stata fucilato a Stia, assieme a numerosi partigiani fatti prigionieri dai tedeschi durante un rastrellamento in montagna; parlava angosciato e si capiva che oltre alle ragioni politiche e ideali per combattere i nazifascisti aveva quel conto aperto e pesante da regolare. Ebbi quindi la certezza che sul piano ideale e politico Luciano era dei nostri, anche se non aveva militato in nessun partito e poteva entrare nella Brigata. Passammo quindi a trattare delle sue esperienze militari. Era ufficiale di complemento dell’esercito, ma disse subito che non aveva mai sparato un colpo in combattimento e che la sua istruzione militare era limitata alla vita di caserma e non serviva alla nostra strategia. L’8 settembre 1943 era in servizio a Borello di Cesena, al comando di un reparto di reclute da addestrare che aveva appena indossato la divisa militare e non erano in grado di fronteggiare i tedeschi. In accordo con i compagni di Cesena prese la decisione di sciogliere il campo e di consegnare tutte le armi e le vettovaglie al comitato antifascista, armi che furono trasportate in montagna e servirono per le prime formazioni partigiane. Alla chiamata della Repubblichina di Salò non si presentò e iniziò la sua vita clandestina. Sotto falso nome, in accordo con un professore antifascista dell’Università di Firenze, sostenne la tesi su Le case coloniche della mezzadria in Romagna. La laurea gli sarà consegnata con il suo vero nome, solo dopo la Liberazione, dal Rettore Piero Calamandrei. Ai primi di dicembre ‘43 i compagni di Ronta lo aiutarono a raggiungere i partigiani in montagna. Gli fu affidato il comando di una compagnia di una ventina di partigiani di stanza a Ridracoli. Il comandante della Brigata era un ex ufficiale di carriera, inesperto di guerriglia, per cui le forze non venivano impegnate a dovere. La compagnia di Luciano compì solo qualche azione con mine sulle strade contro autocarri. Arrivò l’inverno con tanta neve che cancellava i sentieri e costringeva all’immobilità. Nel febbraio ‘44 Luciano si ammalò di broncopolmonite e poiché il medico della Brigata non aveva le medicine per curarlo, il commissario politico decise che avrebbe dovuto scendere in pianura e ritornare dopo la guarigione. A guarigione avvenuta venne a cercare noi, anche se era più difficile che in montagna condurre la lotta in un territorio sempre più occupato dai tedeschi, dove scorazzavano le bande nere in cerca di antifascisti e renitenti alla leva, dove cresceva il numero dei deportati nei campi di concentramento nazisti, cresceva il numero degli antifascisti arrestati e incarcerati, aumentavano i fucilati, gli impiccati per rappresaglia contro le azioni della guerriglia. Così Luciano Lama entrò nella nostra Brigata, diventò Gappista, prese come nome di battaglia Boris (era un amante della musica lirica e in particolare gli piaceva il Boris Godunov di Musorgskij) e con quel nome svolse importanti compiti dell’organizzazione militare. Da quel momento dividemmo assieme sacrifici e risultati, atti temerari e paure, rischi e soddisfazioni. In diverse occasioni scampammo alla morte quasi per miracolo e quando penso alle tante volte che la fortuna ci ha assistito mi sembra che dovessimo la sopravvivenza a qualcosa di misterioso. In certe notti calde d’estate, quando il nostro letto era la terra in mezzo ai campi di grano, mentre eravamo sdraiati sotto le stelle, è capitato di interrogarci sul significato della vita. Vedevamo la morte mietere vittime ogni giorno in misura maggiore. Eravamo nel mezzo di una guerra e tante altre ve ne erano state, ma ci sembrava che gli uomini non avessero imparato nulla dalla storia. Tante cose ci sembravano assurde, il razzismo innanzitutto. L’umanità ci appariva dominata da meccanismi che uccidevano i sentimenti di umanità. Alla base vi erano le leggi economiche del grande capitale e del grande profitto, la possessività, la sete di potere, l’imperialismo. Il grande problema ci sembrava quello della liberazione dell’umanità da quei meccanismi: era questo il comunismo che noi sognavamo là sotto le stelle.