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Il Comitato di liberazione nazionale (Cln) nasce il 9 settembre 1943 a Roma e unisce in un unico organismo i diversi partiti dell’antifascismo storico, ognuno con un proprio rappresentante. Sotto la presidenza del socialista Ivanoe Bonomi ci sono gli esponenti del Partito comunista Mauro Scoccimarro e Giorgio Amendola, del Partito socialista italiano di unità proletaria Pietro Nenni e Giuseppe Romita, del Partito d’azione Ugo La Malfa e Sergio Fenoaltea, della Democrazia cristiana Alcide De Gasperi, della Democrazia del lavoro Meuccio Ruini e del Partito liberale Alessandro Casati.
Il Comitato fungerà da “direzione politica” della lotta di liberazione. “Nel momento in cui il nazismo tenta di restaurare in Roma e in Italia il suo alleato fascista - si legge nel suo primo documento d’azione - i partiti antifascisti si costituiscono in Comitato di liberazione nazionale, per chiamare gli italiani alla lotta e alla resistenza per riconquistare all’Italia il posto che le compete nel consesso delle libere nazioni”.
“Alla notizia dell’armistizio, l’8 settembre 1943 - scriveva Claudio Dellavalle - i tedeschi occupano l’Italia per tenere lontano il fronte di guerra dalla Germania. Il Paese, invaso a sud dagli eserciti alleati, è sull’orlo di un collasso totale. Nei territori occupati si costituisce per volontà di Hitler un governo fascista, ora in versione repubblicana, guidato ancora da Mussolini. È la Repubblica sociale italiana (Rsi) che vorrebbe governare il centro nord, ma dipende dai tedeschi militarmente ed economicamente. La resistenza che nasce dopo l’8 settembre 1943, in parte in modo spontaneo, in parte per l’impegno dei partiti antifascisti, costituisce una sfida quasi impossibile perché ha più nemici da combattere. In primo luogo gli occupanti tedeschi: è dunque guerra di liberazione nazionale. È questo è l’elemento che accomuna tutti i resistenti per sostenere l’unità e l’indipendenza nazionale. È guerra contro i fascisti collaborazionisti, quindi contro quella parte di italiani che sostengono ancora Mussolini: è dunque guerra civile perché agisce lo scontro ideologico tra fascismo e antifascismo. Infine la Resistenza italiana porta dentro di sé una forte componente di classe, che mira non a una impossibile rivoluzione sociale, ma al riconoscimento dei diritti delle classi subalterne, in primo luogo operai e contadini, che nelle fabbriche e nei campi sostengono la resistenza come forma di emancipazione sociale. Peraltro operai e contadini sono la maggioranza nelle formazioni partigiane e trovano appoggio nella popolazione perché contrastano una guerra che significa solo fame, distruzioni e morte”.
Affermava in proposito Giuseppe Di Vittorio in occasione del primo anniversario della Liberazione: “L’insurrezione vittoriosa di tutto il popolo dell’Italia del Nord il 25 aprile 1945 realizzò la premessa essenziale della rinascita e del rinnovamento democratico e progressivo dell’Italia, come della sua piena indipendenza nazionale. È per noi motivo di grande soddisfazione ricordare che a questo movimento di riscossa nazionale, il contributo più forte e decisivo fu portato dai lavoratori italiani. Furono gli operai, i contadini, gli impiegati ed i tecnici che costituirono la massa ed il cervello delle gloriose formazioni partigiane e di tutti i focolai di resistenza attiva all’invasore tedesco. Chi può dire se la clamorosa vittoria del 25 aprile sarebbe stata possibile, senza gli scioperi generali grandiosi che, dal marzo 1943, si susseguirono, a breve distanza, sino al 1945? Quegli scioperi, che contribuirono fortemente a paralizzare l’efficienza bellica del nemico ed a sviluppare la resistenza armata, costituiscono un esempio unico e glorioso di lotta decisa dalla classe operaia sotto il terrore fascista, sotto l’occupazione nazista ed in piena guerra. È un esempio che additava il proletariato italiano all’ammirazione del mondo civile!”.
Tra il 5 e il 17 marzo 1943, le fabbriche torinesi erano bloccate da una protesta che aveva coinvolto 100.000 operai. Dietro alle rivendicazioni economiche, le agitazioni avevano un chiaro intento politico e cioè la fine della guerra e il crollo del fascismo. Un’ondata che da Torino si estenderà alle principali fabbriche del Nord Italia. La Resistenza la iniziano gli operai. E loro la concludono, occupando le fabbriche due anni dopo alla vigilia del 25 aprile 1945. Scioperando, nuovamente nel marzo del 1944.
“Lo sciopero generale politico rivendicativo del 1-8 marzo assume un’importanza e un significato nazionali e internazionali di gran lunga superiori agli obiettivi immediati che esso si poneva - scriveva La nostra Lotta - indica la strada da seguire nel prossimo avvenire in cui si annunciano grandi e decisive battaglie, in Italia e nel mondo, per l’annientamento del nazifascismo e la liberazione dei popoli. Gli operai italiani che l’hanno sostenuto, i lavoratori e i patrioti che l’hanno appoggiato, le organizzazioni che l’hanno preparato e diretto possono essere fieri e orgogliosi della grande battaglia combattuta: essa s’iscrive fra le migliori pagine della lotta dei popoli per la propria libertà e costituisce una tappa decisiva per il risorgimento della nostra patria. I sacrifici di oggi sono il prezzo e il pegno del sicuro trionfo di domani”.
I sacrifici di oggi sono il prezzo e il pegno del sicuro trionfo di domani, non dimentichiamolo.