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Hanno preso il polso al Paese. Lo hanno curato, rischiando in prima persona. Lo hanno salvato, senza tirarsi indietro mai, senza smettere mai di lottare, anche adesso che scriviamo c’è gente che soffre nei letti di terapia intensiva e gente che cura e protegge il nostro futuro. Oggi la scena dovrebbe essere tutta loro. Tutta di chi ha tenuto e sta tenendo duro nelle corsie degli ospedali. Continuando a fare quello che ha sempre fatto. Il palco di questo strano Primo Maggio, se ci fosse e ne avessero il tempo, dovrebbe essere popolato di medici, infermieri e personale ospedaliero. Al lavoro e alla lotta, anche nel giorno della festa dei lavoratori, come fosse un giorno qualsiasi. “Di fronte a questo banco di prova, che ci è costato parecchie vittime, tra la popolazione e gli operatori”. A parlare è Bruno Zeppa, medico di pronto soccorso all’Ospedale Maggiore Policlinico di Milano e sindacalista della Fp Cgil Medici provinciale. E il futuro? “Il presente e il futuro sono una lunga guerra di posizione. Delicata da affrontare, anche se non ci dovessero essere altri picchi”.
L’attenzione resta altissima e la nuova sfida, adesso che il numero dei contagi si è abbassato, diventa controllare ogni paziente, anche chi non si presenta per sintomi da covid. “Perché basta un solo errore, basta ricoverarne anche solo uno nel reparto sbagliato, per creare un nuovo focolaio”. Una moglie infermiera, due figlie piccole a casa, “se ti dicessi che non ho mai avuto paura, direi una bugia. Per la mia famiglia e per quello che sarebbe potuto accadere se non avessimo tenuto. Perché la rianimazione non è solo un letto e un respiratore. Quello che fa la differenza è il personale. E il personale è insufficiente”. Il sindacato lo dice da anni. Come denuncia da tempo, in Lombardia, il fallimento delle politiche di Formigoni: l’eccessiva ospedalizzazione, la trasformazione del pronto soccorso in un’area ambulatoriale che si pretende sostituisca il territorio. Il sindacato non ha mai abbandonato, neanche nei giorni più tristi di questa vicenda, lo sguardo lungo verso il futuro. La pretesa di cambiare le cose, di chiedersi perché stessero accadendo e dove fossero le responsabilità. “Per questo è un primo maggio sofferto. È triste pensare cha da anni poniamo, inascoltati, certe questioni. Ma c’è una grande speranza dietro al dramma che stiamo vivendo, perché la pandemia ha unito i lavoratori e ha acceso i riflettori sullo stato di cose”.
È un primo maggio iniziato nel reparto di terapia intensiva - Covid 1 del policlinico di Tor Vergata a Roma, quello del medico di rianimazione Carlo Maria Petrangeli. In turno dalle 8 di ieri sera alle 8 di questa mattina. “Nulla sarà più come prima, persino per noi rianimatori, che pure affrontavamo ogni giorno la sofferenza e la morte anche prima del coronavirus. A questa malattia neanche noi eravamo preparati. Ora il nostro approccio al lavoro è diverso. Dobbiamo dedicare molto tempo alla protezione. Non agiamo più nell’immediato, come eravamo abituati a fare”. Hai paura? “Sì, la paura stimola attenzione, non è un sentimento negativo”. A Roma com’è la situazione? “Siamo stati fortunati. Quello che è successo nelle altre regioni ci ha dato il tempo di organizzarci, di reperire i dpi. Ora speriamo che questa fase 2 annunciata non diventi un rompete le righe, che i cittadini, dopo due mesi di lockdown, non smettano di essere prudenti, perché altrimenti rischiamo tra venti giorni di stare peggio della Lombardia”. Come sarà il futuro? “Spero che la politica impari da questa situazione quanto è importante un sistema sanitario pubblico forte, con il personale sufficiente e una medicina di territorio valida e ben radicata, che possa agire di concerto con l’ospedale”.
Ma ai medici e agli infermieri chi ci pensa? Vegliano su di noi nei momenti più duri e pensano a come potranno migliorare le cose, agli errori resi evidenti dal covid. Ma quale sarà il riconoscimento per tutti i rischi che corrono? “Grazie all’impegno dei sindacati – ci risponde il segretario della Fp Cgil Medici, Andrea Filippi – in alcune regioni, Toscana, Emilia-Romagna e Lazio in testa, sono stati sottoscritti accordi che prevedono finanziamenti aggiuntivi a quelli già decisi per gli straordinari dal Cura Italia, al fine di premiare lo sforzo di tutti i lavoratori. A fronte di questo impegno è stato sottoscritto in settimana dalla conferenza delle regioni e dalle organizzazioni di rappresentanza un protocollo di intesa per sollecitare il governo a muoversi sulla stessa lunghezza d’onda. Ma il tema fondamentale, già presente prima dell’emergenza, riguarda lo sblocco del tetto del salario accessorio di tutti gli operatori sanitari. Risorse che sono già dei professionisti, che stanno già nelle loro disponibilità, che però non possono essere utilizzate per questo tetto. Eppure sarebbe linfa vitale per chi, non da oggi, ma da anni, lavora sottorganico”. Migliorare le condizioni resta essenziale se vogliamo iniziare la fase 2. “Che potrà partire solo quando il servizio sanitario nazionale sarà pronto a tutelare operatori e cittadini, in una condizione di convivenza con il contagio che durerà ancora molto”.
E allora non ci resta che augurare buon primo maggio a tutti i professionisti della sanità. Che mischiano coraggio, sudore e responsabilità. Che quei dpi di cui tutti siamo diventati esperti, li indossano per davvero, 12 ore al giorno, spesso di notte. Senza pause. Senza un momento per fermarsi a riflettere sul rischio che corrono. Al lavoro, dal paziente zero, quando tutti seguivamo con apprensione la situazione, all’ultimo dei pazienti, quando la maggior parte di noi avrà già voltato lo sguardo altrove. Per tutto questo tempo loro resteranno lì, dove la fase è una sola, salvare vite, e arrivano attutite le polemiche politiche e le battaglie sulla fase 2. Ascoltando i loro racconti, viene solo da pensare che dovremmo, tutti noi altri, restare prudenti, essere responsabili e aiutarli ad aiutarci. Perché il futuro, il dopo coronavirus, passerà per forza dalle loro mani, dalle loro capacità e dalla loro ricerca.