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Mia figlia ha 19 anni. Ha sostenuto quest’anno l’esame di Stato: anche se tutti continuano a chiamarlo con il termine vecchio, “gentiliano”,
“di maturità”. Mi tornano in mente mia figlia e, soprattutto, il concetto di maturità (del ministro, ovviamente), quando leggo che Valditara ha annunciato che dal prossimo anno saranno vietati i telefoni in classe.Così, secco. Con il piglio sicuro di chi sa bene come tornare alla scuola di una volta. Proibiti, anche per uso didattico. I valori, insomma. Quelli robusti, tradizionali. Senza uno straccio di riflessione didattica sull’uso delle tecnologie in classe, come se, permeando ormai tutto il nostro quotidiano, potessero essere semplicemente lasciate fuori dalla classe. Bandite con un’ordinanza.
Ora, è evidente che questo è un tema che tocca la sensibilità di noi “vecchi”: genitori e/o insegnanti. Chi di noi non si è spazientito di fronte a un figlio/figlia o studente/studentessa incollato al telefono in momenti per noi topici (ma magari non per loro: e forse dovremmo interrogarci sul perché si annoiano, su quale mondo gli abbiamo preparato, che scuola facciamo, quale tecnologia spesso passiva e ottusa abbiamo inventato per i nostri eredi)? Si chiama demagogia, populismo.
E qui arriva in aiuto, appunto, mia figlia. Tanto tempo fa mi trovai a riprenderla: “Ma insomma,
sempre con ‘sto telefono in mano…”. Lei, candidamente, con quella nonchalance che solo i bambini hanno, rispose: “E lo dici tu? Ma se stai sempre incollato allo schermo”. Provai a difendermi con frasi del tipo “ma io leggo i giornali”, “la posta”. Tutto inutile, ovviamente.Ecco, a questo ho pensato quando ho letto l’annuncio tonitruante di Valditara. Ho pensato alla maturità di noi adulti, alla distanza che spesso generiamo rispetto a una realtà che noi stessi abbiamo creato e lasciato a chi viene dopo. Li sgridiamo e intanto commentiamo tutto il commentabile o postiamo selfie in maniera compulsiva su Facebook, i più arditi su Instagram.
A questo ho pensato, poi ovviamente ci sono tante altre considerazioni da fare: vietare il telefono… sì, ma per cosa? L’oggetto in sé o l’uso - o il non uso - che se ne può fare? Esiste forse un insegnante che tollera selfie o video su Tik Tok mentre spiega o interroga? E se invece di scorrere compulsivamente sullo schermo del telefono, sfogliassero sotto al banco - come noi spesso facevamo - un album delle figurine perdendosi con l’immaginazione sui volti dei calciatori, cambierebbe qualcosa?
E poi c’è anche altro: lo stesso ministro ha preannunciato il ritorno del diario in classe. Se ne può discutere, è certo che il registro elettronico talvolta si trasforma in un nemico per studenti, famiglie e docenti… Va bene. Ma ve li ricordate i diari pasticciati? I numeri degli esercizi scritti male? ”Erano 5 o 6 le frasi da tradurre?”. “Prof avevo scritto i compiti su un foglio ma l’ho perso”. Insomma, quando si procede per titoli è difficile arrivare al nocciolo delle questioni in gioco. Che sono importanti: il rapporto con la tecnologia, l’autonomia, la funzione del digitale, l’attenzione in classe eccetera eccetera.
Ma la chicca che lasciamo per ultima è la migliore. Quasi nelle stesse ore il ministro incontinente ha lanciato l’idea di un tutor in classe per gli insegnanti che, attraverso l’intelligenza artificiale, li aiutasse con le lezioni, lasciando così spazio a una maggiore attenzione per i rapporti umani con la classe. Come se i due corni dell’attività didattica fossero separati. Caro ministro, forse quando si toccano nodi di questa portata avremmo bisogno di un po’ di intelligenza umana in più. Non artificiale, proprio umana.