Pochi diplomati, poche risorse investite, scarsi sbocchi occupazionali. Verrebbe da dire “meno male che l’Ocse c’è” a ricordarci ogni anno lo stato dell’istruzione in Italia con il tradizionale rapporto "Education at a Glance". Un bagno di realtà, altro che “la scuola sta cambiando rotta” del ministro Valditara che su questi dati strutturali dovrebbe soffermarsi, piuttosto che provare a ridisegnare il nostro sistema educativo sulla scorta delle sue tre parole d’ordine: patria, azienda e disciplina.

Pochi diplomati

Ma veniamo ai numeri. Nel nostro paese, si legge nel rapporto, il 20% dei giovani fra i 25 e i 34 anni non completa il ciclo di istruzione secondaria di secondo grado. In area Ocse il dato è al 14%. La traduzione nel dato occupazionale è immediata: solo il 57% dei 25-34enni senza diploma di maturità trova lavoro, a fronte del 69% dei diplomati. Inoltre, il 27% della popolazione fra i 25 e i 64 anni non diplomata guadagna la metà o meno del reddito medio. Commenta la Flc Cgil: ”Rispetto ai bisogni formativi dei giovani sarebbe essenziale elevare l'obbligo di istruzione almeno a 18 anni”.

Qualità e quantità

Non solo: ”A fronte della necessità di innalzare la qualità e la durata dell'istruzione almeno al diploma di scuola secondaria di secondo grado, il ministro Valditara si fregia di una riforma, la filiera tecnologico-professionale, che prevede l'abbassamento del percorso secondario a quattro anni e la sostanziale equiparazione tra scuola e addestramento (apprendistato, formazione professionale) per accedere agli Its”, commenta la Flc.

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Replicando al ministro che in una nota polemica parla di strumentalizzazione da parte sindacale nella lettura del rapporto e scrive: “Sottace la Cgil che, secondo la migliore pedagogia, non è la quantità bensì la qualità di ciò che si studia a fare la differenza. Indietro non si torna".

In realtà indietro si torna eccome visto che, attacca ancora il sindacato della conoscenza della Cgil, “la scarsa attenzione alla qualità della scuola, da anni privata delle ore di laboratorio, di compresenze e di personale docente e Ata, viene assolutamente confermata dal rapporto”.

Secondo l'Ocse, l'Italia è sotto la media per quanto riguarda la spesa pubblica per l'istruzione (4% del Pil rispetto al 4,9% dei Paesi Ocse), ma anche per il rapporto studenti-insegnanti, fissato a 11 a 1 per la scuola primaria e di 10 a 1 per l'istruzione di secondo grado.

Insomma: quando si parla di temi come questi separare nettamente qualità e quantità è un esercizio che non funziona.

Il gap sociale

Il rapporto conferma purtroppo anche che l’istruzione in Italia ha rinunciato a rappresentare un ascensore sociale. Mentre infatti il 37% dei figli di genitori non diplomati non si diploma, ben il 69% dei figli con almeno un genitore laureato consegue la laurea.

Tagli e precari

La politica dei tagli è rappresentata anche dai ridotti numeri di assunzioni che arrivano dopo molti anni di precariato, tanto che l'età dei docenti italiani è sensibilmente più alta rispetto a quella degli altri membri Ocse: il 53% del corpo docente infatti ha più di 50 anni, contro il 37% nella media dell'area Ocse.

Del numero ridotto di assunzioni, e dei troppi precari, abbiamo ampiamente scritto su Collettiva. Basterà ricordare qui qualche numero. Nell’anno scolastico che è appena iniziato le supplenze raggiungeranno quota 250 mila, 130 mila delle quali in un segmento particolarmente sensibile come quello del sostegno. Un trend che non si ferma: si è infatti passati dai 132 mila supplenti dell’anno 2017/2018 ai 250 mila del 2024/2025, con un incremento del 72%. Una proporzione enorme rispetto ai 796.611 mila docenti di ruolo e ai 241.431 Ata.

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Eppure i posti ci sono, ma le immissioni in ruolo sono al di sotto delle necessità: quest’anno sono stati assunti 45 mila docenti su 65 mila posti liberi. Non va meglio agli Ata: appena 10.336 nuove immissioni in ruolo con 30.579 posti liberi.

Gli stipendi

L’Ocse segnala anche il divario retributivo degli insegnanti con il resto dei Paesi. Grazie all’alta inflazione il potere d’acquisti degli insegnanti italiana è stato fortemente eroso. Come è noto, il contratto è scaduto, ma i sindacati ritengono la proposta di aumento di 130 euro per il triennio 2022-24 del tutto insufficiente: “Quello che Valditara non dice è che non ha risorse per dare una risposta adeguata all'inflazione del triennio 22-24 – sottolinea Gianna Fracassi, segretaria generale della Flc Cgil –: si propone infatti un aumento del 5,78% a fronte di un'inflazione arrivata al 18%, cioè il triplo di quanto proposto. Omettendo di dire, tra l’altro, che la metà di quella cifra è già stata corrisposta lo scorso dicembre, con quello che abbiamo definito “pacco di Natale”, per un po’ di consenso elettorale”, come si legge in un’intervista su Collettiva.

Una strada sbagliata

Insomma, commenta la Flc Cgil, mentre i Paesi Ocse sono impegnati a innalzare la percentuale di istruzione della popolazione, “il ministro Valditara si affanna a ideare riforme come i quadriennali della filiera tecnologico-professionale o come il liceo del made in Italy, che aumentano le ore di alternanza scuola-lavoro e diminuiscono la formazione generale per accelerare un rapido affaccio al mondo del lavoro che, alla fine, danneggia il reddito e il futuro dei giovani e impoverisce il tessuto produttivo del Paese”.