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Tra i dossier più impegnativi che il nuovo governo si troverà a dover affrontare c’è sicuramente quello della scuola. Provata – ma non arresa – dopo due anni di pandemia e da interventi non all’altezza della retorica che pure sul valore dell’istruzione è stata profusa, mai come in questa fase servirebbero numeri e dati certi su cui poi – ammesso che la volontà politica ci sia – provare a costruire delle politiche adeguate. Da questo punto di vista non aiuta certo la recente pubblicazione della Fondazione Agnelli dal titolo impegnativo di Le risorse per la scuola: luoghi comuni e dati reali.
Per la Fondazione, pare incredibile ma è così, i luoghi comuni da sfatare sarebbero quelli secondo cui le risorse investite in questi anni nella scuola sarebbero scarse a partire, ma non solo, dagli organici (nonostante le 200 mila supplenze previste anche per questo anno) e dalle retribuzioni del personale. La Flc Cgil ha preso sul serio lo studio e ha realizzato una sorta di fact checking che smonta molte delle tesi sostenute dai ricercatori dell’istituto.
Investimenti in istruzione: altro che Europa
In realtà “i dati scelti e le informazioni ricavate – dicono al sindacato della conoscenza della Cgil – non sono mai neutri ma rispecchiano chiaramente un orientamento sul modello di scuola che si intende sostenere. Uno degli aspetti da segnalare è l’utilizzo a fisarmonica nella pubblicazione della Fondazione degli archi temporali su cui calcolare i dati e ricavare le tesi sostenute”.
Il primo pensiero va immediatamente alla legge Tremonti-Gelmini e agli 8 miliardi di tagli dell’organico (circa 130 mila posti in meno) effettuati durante il governo Berlusconi IV, le cui norme applicative sono continuamente richiamate come un mantra in tutti i provvedimenti sugli organici fino ad oggi. “Loro non lo sapevano, ma i tagli non erano affatto reali. Tutta propaganda di sindacati infingardi e bugiardi”, commenta la Flc.
Ovviamente non è così. Se prendiamo il capitolo spesa per istruzione in rapporto al Pil, la Fondazione Agnelli scrive che lo scostamento rispetto alla media europea è “appena” dello 0,4/0,5% del Pil. Sembra poco, ma è tantissimo: cioè 7-9 miliardi di euro in meno. Non solo, l’incremento registrato nel 2020 e nel 2021 è stato determinato esclusivamente dalle risorse per il contrasto al Covid-19. E comunque, come scritto nel Def 2022, è prevista una riduzione di 0,5 entro il 2025 con risorse che rimangono costanti fino al 2070.
Il personale: esplode la precarietà
Molto azzardate anche le conclusioni sul personale a tempo indeterminato. La Fondazione, cioè, parte a valle dei tagli di Tremonti-Gelmini (ossia dal 2011), ma il 2011 (a parte il 2012) è il punto più basso della dotazione organica degli ultimi 20 anni. Quindi, è vero che si è passati dagli 882.033 dipendenti del 2011 ai 907.817 del 2020, ma non si può tralasciare il fatto che nel 2001 si era a quota 975.456. Come se non bastasse tra il 2011 e il 2020 i precari sono balzati da 133.556 a 270.049.
Il rapporto dell’istituto, poi, sostiene che l’Italia è più o meno in linea con la media europea anche nel calcolo del costo per studente. Ma non si tiene conto della spesa per i docenti di sostegno, che non è frutto di scelte politiche ma di un obbligo di legge che lo Stato ha nei confronti di ciascuno studente e ciascuna studentessa che ha delle disabilità. Ad esempio nell’esercizio finanziario 2021 le spese per i docenti di sostegno sono stati quasi 6,5 miliardi con un numero di lavoratori (stabili o precari) pari a quasi 190 mila. Ma è ovvio che il numero di insegnanti di sostegno è legato alle contingenze, cioè al numero di ragazzi e ragazze disabili che varia ogni anno scolastico.
Gli stipendi: il mantra della meritocrazia
Infine, l’ultima chicca. È vero che gli stipendi sono un po’ più bassi di quelli degli altri Paesi ma per la Fondazione ciò dipende fondamentalmente da una progressione economica basata solo sull'anzianità invece che su criteri meritocratici. Così il commento della Flc Cgil: “L’idea che la carriera del docente sia legata fondamentalmente alla performance individuale da premiare con incrementi retributivi, ripropone chiaramente un’idea di scuola che perde i connotati di luogo di confronto democratico e di comunità educativa che opera come soggetto collettivo finalizzato a formare cittadini autonomi e con capacità critica. Si tratta di un orizzonte culturale ed educativo che respingiamo in toto”. In ogni caso non va dimenticato che gli stipendi dei docenti in confronto ai dipendenti pubblici italiani a parità di titolo di accesso sono ancora oggi gravemente più bassi.
Insomma: altro che in linea con l’Europa: il nuovo governo dovrà mettere mano al portafoglio e investire seriamente sull’istruzione. Le richieste che vengono dal mondo della scuola sono note: elevare l’obbligo scolastico fino a 18 anni, rendere obbligatoria la scuola dell’infanzia, incrementare il tempo scuola soprattutto laddove esso è particolarmente carente, lottare contro le diseguaglianze territoriali e sociali che hanno nell’abbandono scolastico la sua piaga più dolorosa. Anche in questo caso vale "ascoltate il lavoro".