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“Le manomissioni sulle linee ferroviarie? Ci sono sempre state e sempre ci saranno. Chi va a rubare il rame sulla linea, perché si vende bene, chi ha interesse a fermare le linee: le infrastrutture ferroviarie sono continuamente oggetto di sabotaggi da parte dei malintenzionati. Le ferrovie hanno anche una mappatura dei luoghi dove vengono fatti, fa parte dei piani di sicurezza. E se anche ci fossero, non solo l’unica causa dei disservizi di queste settimane. Il vero problema sta nel fatto che la rete è utilizzata al 99 per cento delle sue capacità”.
Un esperto come Guido Gentile, docente di ingegneria dei trasporti all’università La Sapienza di Roma, e coordinatore del dottorato di ricerca in infrastrutture e trasporti, sa bene che cosa sta accadendo sulle linee italiane. Per lui le ferrovie non hanno segreti.
Quindi, professore, la nostra rete è congestionata?
È così. Il numero di treni che passano sui binari è al limite, a volte ci sono passaggi ogni 5-10 minuti. Questo vuol dire che il più piccolo problema si riverbera sulle tratte importanti. Mi spiego meglio. Se in una stazione si verifica un intoppo, e quindi passano meno convogli del dovuto, questi si vanno ad accumulare nella stazione precedente: i treni che non dovevano passare per quella tratta subiscono ritardi e l’effetto si propaga anche su linee che non erano direttamente interessate dal problema. Questo accade quando la rete lavora al limite delle capacità.
Questa è l’unica causa?
No, ce n’è anche un’altra. Il numero straordinario di manutenzioni che si stanno effettuando sulla rete, ho letto che ce ne sono circa mille finanziate dal Pnrr. È sufficiente che un intervento si protragga più del dovuto, cinque ore anziché due, che la squadra abbia avuto un problema e quindi prosegua le attività fino al mattino (perché la manutenzione si fa di notte), ed ecco che quel ritardo si ripercuote su tutta la rete.
Come siamo arrivati a questo punto?
È un fatto congenito e anche risaputo che alla crescita economica di un Paese corrisponda la crescita dell’utilizzo delle infrastrutture. Il traffico merci e passeggeri aumenta di 2 o 3 punti percentuali all’anno, un andamento che è uniforme, che c’è da sempre e che proseguirà, con la previsione che andrà di pari passo con il Pil, anche se non c’è una matematica uguaglianza ma una fortissima correlazione. Questo vuol dire che in dieci anni il traffico è aumentato del 20 per cento, una quota che non è sostenibile dalle nostre infrastrutture ferroviarie.
Perché?
Facciamo un passo indietro. Dopo la guerra abbiamo avuto un boom delle infrastrutture autostradali, siamo stati i primi in Europa a costruirle negli anni Sessanta e Settanta. Negli anni Ottanta ci siamo fermati, non abbiamo più costruito, mentre negli altri Paesi hanno continuato e ci hanno scavalcato quanto a chilometri, Spagna, Francia, Germania. Negli anni Novanta e Duemila ci siamo dedicati alla rete ferroviaria ad alta velocità, prima il pendolino, poi l’Av. Anche qui ci siamo fermati.
Che cosa è successo dopo?
Sono passati gli anni e nel frattempo queste infrastrutture sono invecchiate: ponti, viadotti, gallerie, opere costose e delicate, hanno una vita utile di 50, 80, massimo 100 anni. Quelle ferroviarie hanno particolarità in più, i bivi, gli scambi, i binari, l’armamento, l’alimentazione elettrica. Sono iniziate a verificarsi rotture, problemi per cui occorreva intervenire con interventi straordinari. Ecco, negli ultimi 20 anni, prima del crollo del ponte Morandi, dal 2000 al 2020, di opere di manutenzione straordinaria se ne sono viste molto poche.
Adesso si stanno facendo, con i fondi del Pnrr, sono più che necessarie, porteranno certamente benefici, ma non stiamo facendo un nuovo bagno o aggiungendo una stanza alla casa. Con lo stesso Pnrr non abbiamo messo in campo grandi opere. La ferrovia Roma-Pescara, di cui si è tanto parlato, non s’è vista, la progettazione è in alto mare. Solo per fare un esempio. A Roma hanno rimesso in funzione alcune stazioni della metropolitana che erano state chiuse perché l’infrastruttura era vecchia di trent’anni. Sono state rifatte le scale mobili, sistemati i binari, tutte opere straordinarie, ma non c’è un solo chilometro in più.
Quindi siamo in ritardo?
Abbiamo ritardi nella creazione di nuove infrastrutture visto che la domanda di trasporto aumenta ogni anno e porta a un’inevitabile congestione. Nelle tratte intorno a Firenze e a Bologna c’è congestione da sempre, perché la domanda supera l’offerta.
Tra l’altro ci sono differenze e disparità tra le diverse aree del Paese, giusto?
Sì, abbiamo un Nord molto infrastrutturato e un Sud che non lo è. Se devo andare da Milano a Venezia posso scegliere quale autostrada percorrere, da Bari a Reggio Calabria non ce n’è neppure una. Il Sud è fisiologicamente indietro anche perché è difficile da connettere ed è lontano dai centri nevralgici, ma se voglio puntare allo sviluppo industriale del Meridione non posso non farlo senza dotarlo di infrastrutture. Senza contare che le infrastrutture consentono lo sviluppo dei territori, la loro mancanza o carenza crea disuguaglianze.
Che cosa bisognerebbe fare professore?
Riprendere in mano una seria politica di infrastrutturazione stradale e ferroviaria, che aumenti la capacità, con nuove corsie, nuovi binari anche su tratte già esistenti. E poi lavorare su elementi innovativi che aiutano ad aumentare la capacità, sui quali siamo al palo da vent’anni. Mi riferisco all’introduzione di tecnologie che consentono di efficientare le reti. L’Intelligent Transportation System permette per esempio di sapere con precisione dove si trovano i convogli e quindi di gestire meglio il traffico. Anche sulle autostrade le tecnologie permettono di sfruttare al massimo le capacità, riducendo gli incidenti.
Poi c’è l’informazione agli utenti, che è fondamentale, perché permette di usare in modo ottimale le risorse: se so per tempo che il mio treno per Napoli è in ritardo di due ore posso decidere cosa fare, anche di prendere un altro treno che parte prima. Lo stesso sulle autostrade: se c’è un intoppo, il sistema mi suggerisce di uscire e prendere una statale per evitare la coda. Non possiamo lasciare questo compito a un privato come Google Maps.
Nel frattempo, i cittadini perdono ore della loro vita, in attesa sulle banchine e nelle stazioni.
Esatto. Quanto vale questo tempo? Tra i 10 e i 20 euro l’ora. Ma molto dipende se sei uno studente, uno che viaggia per lavoro o un turista: una giornata persa vale in termini di tempo dalle 50 alle 100 euro, moltiplicati per il numero di persone trasportate da quel convoglio.