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Genova. 20 luglio 2001. La città è blindata. Da giorni espressioni come zona rossa e zona gialla corrono sulla bocca degli italiani inseguite dai fantasmi dei black bloc. Inizia il G8. Il pomeriggio precedente i manifestanti hanno sfilato pacificamente. Si sono ritrovati in 50 mila e il loro primo grido è stato per i diritti degli extracomunitari. Il mondo è in fermento. L’Italia anche. Da poco più di un mese si è insediato un nuovo governo. Lo guida Silvio Berlusconi. Il ministro degli Interni è Claudio Scajola. Sarà lui a dare l’ordine di usare la mano dura contro chi crede che il sistema vada cambiato. E a crederlo sono in tanti: un movimento senza nazionalità e con tante bandiere che parla mille lingue e si definisce “no global”. Migliaia di giovani tra i venti e i trent’anni, internazionalisti nel senso più antico della parola, provenienti da tutto il mondo, che - come era avvenuto a novembre di due anni prima a Seattle - si oppongono alla globalizzazione che toglie ai poveri per arricchire sempre di più i ricchi. No global. No logo. No profit.
Ci sono le donne, gli ambientalisti, gli studenti, c’è la Comunità di San Benedetto al Porto di don Andrea Gallo, c’è una rete di associazioni che si riunisce attorno al Genoa Social Forum. Ci sono le tute bianche, simbolo del precariato, e le tute blu del movimento operaio. Ci sono inglesi, francesi, spagnoli, tedeschi insieme agli italiani. Ci sono i giornalisti e ci sono le camionette. Tante. Carabinieri, poliziotti, agenti dei servizi di sicurezza. Blindati, defender e volanti presidiano la città. Attorno alle 14 scoppiano i disordini. Un tumulto che scuote le strade dalla stazione Brignole a Piazza Giusti, da Piazza Manin a Marassi. Fino a via Caffa. Fino a Piazza Alimonda.
Ore 17:27. 20 luglio 2001. Piazza Alimonda. Genova. Uccidono un ragazzo. Un colpo esploso dall’interno di un defender lascia a terra Carlo Giuliani. Il corpo esile in tuta e canotta. Il passamontagna sul viso. Al momento dello sparo imbraccia un estintore. È a 4 metri di distanza dal veicolo. Eppure un altro ventenne, carabiniere di leva, pensa sia troppo vicino, mira ed esplode due colpi. Uno prende Carlo in pieno volto. I manifestanti si allontanano, il mezzo fa retromarcia. Sale sul corpo. Una volta. Due volte. Carlo muore. Quando arrivano i soccorsi non c’è più nessuno da salvare.
“La morte di mio figlio è una delle più grandi ingiustizie del nostro Paese”. Dice oggi suo padre Giuliano. Per diciannove anni ha ricordato e lottato. Insieme a sua moglie Haidi ha chiesto la verità. Ne ha ottenuto brandelli. Per i tribunali lo Stato italiano non ha colpa. Carlo è stato ucciso per legittima difesa. Ma se c’è una verità che resta è che quei ragazzi e quelle ragazze tutti, Carlo compreso, traditi dallo Stato e travolti dalle violenze, picchiati in strada, abusati in caserma e pestati alla scuola Diaz, avevano ragione. No global, no logo, no profit. Genova – canta Francesco Guccini -“non ha scordato perché è difficile dimenticare. (…) Resta, amara e indelebile, la traccia aperta di una ferita”.