Prende il via oggi 26 luglio a Paestum il 16° congresso dell’Unione degli universitari, organizzazione sindacale che rappresenta e tutela i diritti degli studenti fondata nel 1994. Tre giorni che sono un’occasione di confronto, con la partecipazione di 180 delegati e 90 invitati da oltre 30 città e l’intervento di numerosi esponenti del mondo accademico, politico, sindacale, associativo e culturale.

“Il titolo, ‘Per realizzare l’impossibile’, è esplicativo – spiega Camilla Piredda, coordinatrice nazionale uscente -: il congresso è un momento importante per noi, perché segna i 30 anni del sindacato studentesco in Italia. Faremo il punto sulla fase politica intensa degli ultimi due anni, che ha visto la protesta delle tende, le lotte per la Palestina, le denunce sul diritto allo studio e il Pnrr”.

Che cosa è cambiato in questi trenta anni, Piredda?
Poco o niente. L’università in Italia continua a essere un privilegio, non è accessibile a tutti ma solo a chi se la può permettere. Studiare costa 17 mila euro all’anno sei un fuorisede, 10 mila se pendolare o studente in sede. Ma anche se sei idoneo per la borsa di studio, se hai tutti i numeri, non la ricevi. Ogni anno ci sono 15 mila studenti idonei, sulla base del merito e dell’Isee, che hanno diritto alla borsa ma non la prendono. E anche quelli che la ricevono, i soldi li vedono sei mesi dopo. In questo modo non è un finanziamento ma un rimborso spese: devi poterti permettere di anticipare tutti i costi.

Quindi la situazione è rimasta invariata?
Direi che è anche peggiorata, perché in questi trent’anni l’istruzione accademica ha continuato a essere tagliata. L’ultima legge di Bilancio ha cancellato 250 milioni di euro per le borse di studio, più recentemente 364 milioni del fondo di finanziamento ordinario. Dalla riforma Gelmini poi le università sono diventati luoghi legati al profitto più che alla cultura, spazi dove gli studenti vanno per partecipare alle lezioni, posti di socialità e aggregazione. Negli ultimi due anni però c’è stata un’inversione di rotta.

Ti riferisci alla mobilitazione delle tende?
Sì, da maggio 2022 partendo da Milano abbiamo portato la protesta con manifestazioni pacifiche in tutte le sedi universitarie, che stanno tornando a essere spazi di dialogo e studio, dove far sentire la nostra voce sui temi che ci sono vicini: contro il caro affitti, per il diritto allo studio, contro il genocidio in corso in Palestina. Gli atenei devono essere spazi della cittadinanza e della popolazione, aperti non solo a chi è iscritto.

Gli studenti hanno riportato alla ribalta il dissenso proprio con un governo che il dissenso non lo tollera.

Siamo in una fase politica per cui tutte le forme di dissenso non sono tollerate e vengono represse. La dimostrazione arriva dalla violenza usata anche quando non era necessaria: qualsiasi pensiero non allineato a quello dominante non va bene e va messo a tacere. Lo stesso viene fatto anche in Rai, con l’uso della censura. Per la prima volta in trent’anni abbiamo dovuto dormire due notti fuori da Palazzo Montecitorio per ottenere un incontro con il ministro dell’Università. Lo stesso accade alle altre parti della società civile: il governo non ascolta le istanze dei lavoratori.

Quali sono le sfide per i prossimi rappresentanti dell’Udu?
La prima è quella di continuare ad allargare la rete di interlocuzioni e rapporti: bisogna costruire un’alleanza a sinistra per creare un fronte di opposizione con obiettivi unitari da raggiungere insieme e non uno per uno. Poi ci sono le elezioni del nuovo consiglio nazionale degli studenti universitari, a maggio del prossimo anno, dove dovremo realizzare una maggioranza politica per portare avanti le istanze che riteniamo giuste.