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Al “biennio rosso” (1919-20) segue in Italia il “biennio nero” (1921-22), segnato dall’attacco violento che i fascisti scatenano contro il movimento operaio e le fragili istituzioni dello Stato liberale.
Dopo l’assalto alla sede del Comune di Bologna nel novembre 1920, si moltiplicheranno i casi di incendio e saccheggio operati dalle squadracce nere contro le Camere del lavoro, le Case del popolo, le cooperative, le leghe; molti dirigenti della sinistra rimarranno vittime della violenza fascista. Nella sola pianura padana, nei primi sei mesi del 1921, gli attacchi operati dalle squadre fasciste sono 726: 59 case del popolo, 119 camere del lavoro, 107 cooperative, 83 leghe contadine, 141 sezioni socialiste, 100 circoli culturali, 28 sindacati operai, 53 circoli ricreativi operai saranno vittima delle violenze fasciste.
“Erano i figli di un’Italia che li mandava avanti, a spaventare la gente, a portare confusione (…) erano gli ‘Arditi’ plagiati, usati (…) Quella giovane teppaglia mi faceva orrore e pena”, commenterà anni dopo Pietro Nenni.
Il 28 ottobre 1922, con la marcia su Roma, Mussolini prende il potere. Dietro le manovre di normalizzazione politica operate dal regime (tra le quali anche il tentativo, poi fallito, di coinvolgere esponenti di spicco della CGdL nel governo del paese), l’azione repressiva proseguirà, per culminare nell’uccisione del deputato socialista Giacomo Matteotti nel giugno 1924.
La crisi vissuta dal regime nei mesi successivi verrà superata da Mussolini all’inizio del 1925 - pochi giorni dopo il VI Congresso della CGdL, tenuto a Milano nel dicembre 1924 - quando il duce deciderà una svolta in senso totalitario attraverso una serie di provvedimenti liberticidi (le “leggi fascistissime”), che di fatto annulleranno qualsiasi forma di opposizione al fascismo. Comincia per l’Italia il ventennio più nero della sua storia che terminerà solo il 25 aprile 1945 quando le popolazioni delle principali città del nord insorgeranno rendendola, finalmente, nuovamente libera.
Il fascismo è sconfitto, ma purtroppo non definitivamente eliminato dal nostro bel paese. Anche nel secondo dopoguerra la sede della Cgil - la casa dei lavoratori e delle lavoratrici italiane, baluardo della democrazia nei tempi bui della nostra storia - sarà vittima di attentati di matrice fascista.
La prima bomba a Corso Italia scoppia nella notte tra il 26 e il 27 ottobre 1955. Così il giorno seguente Giuseppe Di Vittorio riferiva alla Camera: “Signor Presidente, onorevoli colleghi, come avrete potuto apprendere dalla stampa, questa notte alle 2.25 un attentato dinamitardo è stato compiuto contro la sede della Confederazione italiana generale del lavoro all’ingresso di via Pinciana, ingresso secondario posteriore a quello principale”.
“L’antifascismo unito - concludeva Di Vittorio - ha fatto la nuova Italia, l’antifascismo unito deve consolidare l’ordinamento democratico dello Stato, sviluppare le libertà democratiche del nostro paese, aprire un avvenire migliore, più sicuro e tranquillo, ai nostri lavoratori ed al nostro popolo tutto. Perciò è bene che tutti i democratici si associno alla nostra protesta contro gli attentatori e chiedano con noi che siano perseguiti, e si prendano le misure adeguate per rendere impossibile il ritorno a quell’atmosfera a cui l’attentato di questa notte fa pensare e di cui costituisce un episodio”.
“Se poi si vuole - chiosava - con attentati del genere, terrorizzare la Confederazione del lavoro e i lavoratori italiani, per impedir loro di continuare a lottare nella difesa dei loro diritti ed interessi vitali, dobbiamo dire, non tanto agli esecutori quanto ai mandanti di questi crimini, che si sbagliano fortemente”.
La Cgil resiste e vince e questo ai fascisti non piace. Tornano così ad attaccare la sua sede l’8 gennaio del 1964. “Questa notte alle 22 e 45 - denunciava la Confederazione in un comunicato rilasciato poco dopo l’attentato - una bomba ad alto potenziale è scoppiata davanti alla Cgil recando danni rilevanti alla sede della Confederazione. L’inqualificabile attentato non può che provenire dalla destra fascista che in questo modo esprime il suo odio contro una grande organizzazione democratica che dirige i lavoratori nella loro lotta. La Cgil chiede che l’autorità intervenga senza indugio per colpire i responsabili che appartengono ad ambienti che a Roma hanno dato ripetute prove anche recenti della loro attività criminosa contro sedi politiche e sindacali”.
“Si è voluto cioè colpire la sede di una grande organizzazione dei lavoratori - dirà Fernando Santi alla Camera dei deputati il 28 gennaio successivo - Ho vissuto l’esperienza dolorosa del dopoguerra 1919-20; so che cosa ha significato il fascismo per l’Italia e che cosa ha fatto per poter prevalere con la violenza e con il sangue, e il fascismo noi lo riconosciamo lontano un miglio perché il suo biglietto da visita è in queste manifestazioni. (…) Per colpire gli autori di questi attentati bisogna marciare in questa direzione, e bisogna farlo con la necessaria energia e rapidità. Ma non bisogna soltanto reprimere; bisogna anche prevenire e mettere una buona volta questi movimenti in condizione di non nuocere alla causa dei lavoratori che noi rappresentiamo, né alla causa della democrazia e dell’ordine pubblico alla quale siamo tutti attaccati”.
Bisogna mettere questi movimenti in condizione di non nuocere, bisogna sciogliere Forza Nuova e le organizzazioni fasciste.
Le mezze coscienze odiano i forti, non solo per avversione di idee, ma anche per il solo fatto che sono forti, e mettono in maggior rilievo l'altrui incapacità. Del resto, non bisogna turbarsi per l’odio, come non bisogna esaltarsi per l’ammirazione. L’odio e l’ammirazione non producono. La vita solo produce: la vita che è azione disciplinata, che è fermo proposito, che è volontà sicura e indomabile, che è servizio oscuro dell’individuo per la collettività. La vita di ogni giorno è ricominciata. All’eroismo succede il trito susseguirsi delle piccole cose quotidiane. È nella forza, nella tenacia con cui entro sé stessi e nei rapporti con gli altri si vincono gli scoramenti, si ricrea l’organizzazione, si ritessono i fili innumerevoli che uniscono insieme gli individui di una classe. Osiamo dire che questo eroismo è più produttivo dell’altro. Ha bisogno per essere attuato della continuità indefessa (Antonio Gramsci, da Carattere, Il Grido del Popolo, 8 settembre 1917).