PHOTO
Un affitto a canone libero assorbe in media più del 35% di un reddito da lavoro dipendente, con punte che superano il 40 a Bologna, Firenze, Prato, Roma, Venezia, Vicenza. Se il contratto è a canone concordato, l’incidenza scende al 29%, ma 15 capoluoghi si attestano al 30. L’impatto è salito del 3,6% in cinque anni nel primo caso, dell’1,5 nel secondo.
A certificare il caro affitti e il peso che la casa ha sugli stipendi sono i dati dell’Agenzia delle entrate e dell’Osservatorio del mercato immobiliare che dimostrano una sola cosa: prendere una casa in locazione è ormai un lusso in Italia. Anche perché i prezzi continuano a salire.
Canoni in salita del 12,7 per cento
Il polso degli aumenti lo forniscono le rilevazioni del portale Idealista: più 2,9% a maggio rispetto ad aprile, più 7,3% rispetto a febbraio, più 12,7% in dodici mesi. Ben 52 capoluoghi hanno registrato una crescita nell’ultimo periodo, mentre in 32 si segnalano ribassi.
Le città con i rincari maggiori sono state Campobasso (più 8,1%), Catanzaro (più 6,5), Rimini (più 5,3) e Caserta (più 5). Crescono i prezzi anche nei centri principali: nell’ordine Torino, Napoli, Milano, Palermo e Firenze. Milano si conferma la più cara d’Italia, con una media di 23,5 euro al metro quadro, seguita da Firenze (20 euro), Bologna (17,3 euro) e Roma (16,5 euro).
Allarme sfratti
“Questi numeri record confermano che il trend in crescita non si ferma, anzi accelera – dichiara Stefano Chiappelli, segretario generale del Sunia, il sindacato degli inquilini della Cgil –. I canoni già alti aumentano per via dell’adeguamento Istat: un affitto che era di 500 euro al mese ad aprile 2020 oggi è diventato di 561,50 euro. Questo fattore e i redditi fermi al palo, se non in regressione, creano le condizioni per un aumento degli sfratti per morosità. Anche perché il governo, come abbiamo più volte denunciato, ha confermato la cancellazione delle risorse per il sostegno agli affitti, con un aggravio delle emergenze per i Comuni che non potranno emettere bandi nonostante le richieste degli inquilini a basso reddito. Mentre l’ultima legge di bilancio non ha previsto nessuno stanziamento per le politiche abitative”.
La petizione popolare
Su questi punti ha insistito il Sunia con la petizione popolare per il diritto all’abitare che ha presentato alla Camera e al Senato: il rifinanziamento del fondo nazionale di sostegno all’affitto, 900 milioni di euro, e di quello per la morosità incolpevole, per evitare nuove ondate di sfratti, un intervento strutturale, continuativo e sicuro per ridurre il peso degli affitti e dei mutui sulla prima abitazione, un piano casa nazionale con sovvenzioni statali e regionali, la programmazione e il finanziamento pluriennale delle ristrutturazioni degli alloggi pubblici sfitti per consentirne la riassegnazione, solo per citare alcune delle richieste.
Mancano 600 mila alloggi
“Il governo fa propaganda, il ministro Salvini si erge a paladino della casa, ma in concreto l’unica cosa che hanno fatto è azzerare il sostegno agli affitti – commenta Daniela Barbaresi, segretaria confederale della Cgil –. Inoltre, a fronte di un fabbisogno di 600 mila abitazioni, non è stata stanziata alcuna risorsa per l’edilizia residenziale pubblica. Intanto quasi la metà delle persone a rischio povertà è in affitto, il disagio economico colpisce di più chi non ha una casa di proprietà. Nel frattempo l’esecutivo ha cancellato il reddito di cittadinanza, lasciando sole oltre mezzo milione di famiglie. In questa situazione anche i Comuni sono in difficoltà ad andare incontro alle necessità degli abitanti. A tutto ciò si aggiunge il problema dei prezzi esorbitanti delle case per gli studenti fuori sede, tali da non garantire il diritto allo studio”.
Il Salva casa
Al capitolo propaganda appartiene il decreto legge cosiddetto Salva casa, approvato in vista delle elezioni europee e adesso in fase di conversione, sul quale Cgil e Fillea, il sindacato degli edili, hanno tenuto un’audizione alla commissione Ambiente della Camera.
“Ci aspettavamo misure per rilanciare l’edilizia residenziale pubblica e favorire un mercato degli affitti a costi sostenibili, grandi emergenze che il decreto non affronta – affermano Cgil e Fillea –. Ne condividiamo le finalità e giudichiamo positivamente alcuni contenuti, ma ci sono criticità che possono aprire la strada ad abusi o avere impatti negativi sugli standard urbanistici. È positivo che si intervenga, anche per permettere alle classi più disagiate di accedere alle agevolazioni per la riqualificazione del patrimonio edilizio diffuso, ma un provvedimento con le finalità di questo decreto dovrebbe essere incardinato su alcuni princìpi: legittimità chiara, evitare operazioni che affatichino ulteriormente i Comuni e che per questi ci siano minore entrate. E senza aprire la strada con ulteriori semplificazioni a deroghe per abusi maggiori”.
Misure a costo zero
D’altra parte non è un segreto che l’Italia spenda pochissimo per le politiche abitative pubbliche e anzi punti sempre di più a piani di dismissione del patrimonio: appena lo 0,13% delle risorse destinate al welfare, a fronte di una media europea del 2%, con la Francia che investe il 2,57, l’Irlanda il 3,42, la Germania l’1,94 (dati Eurostat). Anche la spesa dei Comuni a sostegno del diritto all’abitare è irrisoria: dai 58,26 euro pro capite di Genova si scende allo 0,34 euro di Siracusa e allo 0,01 euro di Ragusa, passando per Bologna con 33,31 euro e Firenze, 15,14 euro (Openpolis su bilanci consuntivi 2021).
“Tutti i provvedimenti adottati dal governo nelle ultime settimane, oltre ad avere un sapore elettoralistico, hanno un filo conduttore – conclude Barbaresi -: sono misure a costo zero, non prevedono risorse. Ma se si continua a non affrontare l’emergenza abitativa, i prezzi delle case continueranno a essere irraggiungibili per molte famiglie”.