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Giuseppe Pinelli, ferroviere, animatore del circolo Ponte della Ghisolfa e giovane staffetta nella Brigata autonoma Franco, forse collegata alle Brigate Bruzzi Malatesta durante la Resistenza, muore nella notte tra il 15 e il 16 dicembre 1969 precipitando da una finestra della questura di Milano, dove era illegalmente trattenuto per accertamenti in seguito alla esplosione di una bomba nella sede milanese della Banca nazionale dell’agricoltura, in piazza Fontana. La prima versione data dal questore Marcello Guida nella conferenza stampa convocata poco dopo la sua morte sarà quella del suicidio.
"Drammatico colpo di scena, questa notte, nel corso delle indagini sulla strage di Piazza Fontana - scriverà il 16 dicembre 1969 il Corriere della sera - Alle ore 23.50 uno degli indiziati che si trovavano da venerdì a disposizione della polizia si è ucciso gettandosi da una finestra del quarto piano di via Fatebenefratelli mentre veniva interrogato. Era un ferroviere di 41 anni: Giuseppe Pinelli, sposato con due figlie, abitante in via Preneste 2, oltre San Siro. Faceva il frenatore allo scalo delle ferrovie dello Stato a Porta Garibaldi e la questura lo definisce ‘anarchico individualista’. Portato in gravissime condizioni all’ospedale Fatebenefratelli, è morto alla una e cinquanta … 'I suoi alibi erano tutti caduti ed era fortemente indiziato' ha dichiarato subito il questore di Milano dottor Marcello Guida. Il questore ha aggiunto: 'Aveva presentato un alibi per venerdì pomeriggio ma questo alibi era caduto completamente. Nell’ultimo interrogatorio il funzionario dottor Calabresi aveva allora momentaneamente sospeso l’interrogatorio per andare a riferire al capo dell’ufficio politico dottor Allegra. Col Pinelli erano rimasti nella stanza tre sottufficiali di polizia e un ufficiale dei carabinieri che assistevano all’interrogatorio'. 'Improvvisamente – ha proseguito il dottor Guida – il Pinelli ha compiuto un balzo felino verso la finestra che per il caldo era stata lasciata socchiusa e si è lanciato nel vuoto'".
Nei mesi successivi alla morte di Pinelli il ‘Comitato cineasti contro la repressione’ raccoglierà numerosi materiali per la realizzazione di un lungometraggio sulla vicenda. L’opera sarà portata a termine da due gruppi di lavoro coordinati da Elio Petri e Nelo Risi. Il film, composto da due parti: Giuseppe Pinelli, diretto da Risi, e Ipotesi su Giuseppe Pinelli, anche conosciuto come Tre ipotesi sulla morte di Giuseppe Pinelli, diretto da Petri, vedrà la luce nel 1970. “Quella sera a Milano era caldo. Ma che caldo che caldo faceva. Brigadiere apra un po’ la finestra. E ad un tratto Pinelli cascò”, recita Ballata dell’anarchico Pinelli scritta la sera stessa dei funerali. Alla vicenda si ispirerà anche l’opera teatrale di Dario Fo: Morte accidentale di un anarchico. Decine saranno i libri, i filmati, le opere teatrali, le installazioni artistiche, le canzoni dedicate a Pinelli e al suo assassinio, non solo in Italia.
Il 27 dicembre 1969 Licia Rognini Pinelli denuncerà il questore Marcello Guida, già funzionario fascista e direttore del confino di Ventotene, per diffamazione (poco dopo la strage, Sandro Pertini, allora presidente della Camera, si recherà a Milano in visita ufficiale. Incontrando il questore Marcello Guida, si rifiuterà pubblicamente di stringergli la mano. Alcuni anni dopo, alla fine del ‘73, il futuro presidente, intervistato da Oriana Fallaci, racconterà che a determinare quel gesto fu non solo il passato di Guida ma anche il fatto che sul questore ‘gravava l’ombra della morte’ di Pinelli) e il 24 giugno 1971 accuserà il commissario Calabresi e tutte le persone presenti in questura la notte del 15 dicembre di omicidio volontario, sequestro di persona, violenza privata e abuso di autorità.
Il 27 ottobre 1975 il giudice istruttore Gerardo D’Ambrosio archivierà le denunce escludendo sia il suicidio che l’omicidio e motivando la morte come un “malore attivo”. Tutti gli indiziati saranno prosciolti. La famiglia Pinelli non smetterà mai di chiedere verità e giustizia, ancora solo parzialmente ottenute ottenute.
“La Repubblica è stata più forte degli attacchi contro il popolo italiano”, diceva lo scorso dicembre a Milano il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, primo nella storia del nostro Paese a partecipare alle commemorazioni della strage, “i tentativi sanguinari di sottrarre al popolo la sua sovranità sono falliti. Immersi in pieno nella storia d’Italia, di cui l’attentato alla Banca nazionale dell’Agricoltura rappresenta una pagina indelebile, affermiamo il dovere del rispetto di una memoria collettiva, in una vicenda di cui si conoscono origini e responsabilità. Disinvolte manipolazioni strumentali del passato, persistenti riscritture di avvenimenti, tentazioni revisioniste alimentano interpretazioni oscure entro le quali si pretende di attingere versioni a uso settario, nel tentativo di convalidare, a posteriori, scelte di schieramento, opinioni di ieri”.
“Il 12 dicembre è una data che nessun milanese potrà mai dimenticare - affermava nell’occasione il sindaco Sala - La strage di piazza Fontana è un momento fondamentale della storia cittadina. Per la nostra comunità rappresenta un'occasione di dolore, di ricordo e di solidarietà. Per le persone che hanno perso la vita, per i feriti. E per i loro familiari, ai quali ogni milanese si stringe commosso (...) Nessun milanese potrà dimenticare il rumore della deflagrazione, le urla di dolore, i fumi arrivati a coprire il Duomo. La pietà, la solidarietà e la ricerca della giustizia spinsero la nostra comunità a unirsi in un abbraccio nel giorno dei funerali. Nonostante il dolore i milanesi furono in grado di ritrovare fraternità e vicinanza nel saluto religioso alle vittime, stretti l’uno vicino all’altro in una piazza Duomo mai così piena. Di sconforto, ma anche di amore verso il prossimo perduto, e in un silenzio che valeva più di qualsiasi parola per condannare la strage. Le immagini di piazza Duomo stracolma fecero il giro d’Italia e del mondo, ricordando a tutti che Milano non si sarebbe piegata e avrebbe sempre protetto e ricordato i suoi fratelli appena caduti (...) Piazza Fontana diede avvio a una delle stagioni più terribili della storia italiana. Milano e l'Italia persero l'innocenza, come hanno sottolineato gli storici, a causa delle bombe esplose qui vicino. Una strategia omicida mirata a spegnere con il sangue le richieste di modernizzazione delle lotte degli anni sessanta. E a sovvertire l’esito della Resistenza, la sconfitta della dittatura e l'avvio della democrazia repubblicana. Una ferita alla democrazia che ancora sanguina, perché dopo 50 anni lo Stato non è stato capace di definire una verità su quella strage”.
“Fare memoria - concludeva Sala - è un dovere civico e morale perché il passato possa fornire nutrimento per il presente e per il futuro. La memoria del male è indispensabile per la sua sconfitta. La domanda posta da Primo Levi, ‘Se questo è un uomo’, contiene in sé la constatazione che ‘questo è stato fatto da un uomo’. L’accettazione del male come immanente all’uomo è la premessa per poterlo battere”. Ieri. Oggi. Sempre.