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È il 24 dicembre 1920 a Cerignola. Una vigilia magrissima a casa Di Vittorio. Peppino è alla guida del movimento dei lavoratori, braccianti che si battono per i propri diritti mentre iniziano a dilagare le violenze delle camicie nere. Arriva un cesto pieno. Lo invia il Conte Pavoncelli, padrone terriero e futuro membro della Camera dei fasci.
Quel dono avrebbe potuto aiutare la famiglia ma il sindacalista lo restituisce al mittente: "Apprezzo la cortesia ma sono un uomo politico attivo, un militante". Una lettera nota, ma che mai come in questi giorni vale la pena riprodurre.
Il futuro segretario generale della Cgil scriveva:
Egregio Sig. Preziuso,
In mia assenza, la mia signora ha ricevuto quel po’ di ben di Dio che mi ha mandato. Io apprezzo al sommo grado la gentilezza del pensiero del suo Principale ed il nobile sentimento di disinteressata e superiore cortesia cui si è certamente ispirato. Ma io sono un uomo politico attivo, un militante. E si sa che la politica ha delle esigenze crudeli, talvolta brutali anche perché – in gran parte – è fatta di esagerazioni e di insinuazioni, specialmente in un ambiente – come il nostro – ghiotto di pettegolezzi più o meno piccanti. Io, Lei ed il Principale, siamo convinti della nostra personale onestà ma per la mia situazione politica non basta l’intima coscienza della propria onestà. È necessaria – e Lei lo intende – anche l’onestà esteriore. Se sul nulla si sono ricamati pettegolezzi repugnanti ad ogni coscienza di galantuomo, su d’una cortesia – sia pure nobilissima come quella in parola – si ricamerebbe chi sa che cosa. Si che, io, a preventiva tutela della mia dignità politica e del buon nome di Giuseppe Pavoncelli, che stimo moltissimo come galantuomo, come studioso e come laborioso, sono costretto a non accettare il regalo, il cui solo pensiero mi è di pieno gradimento. Vorrei spiegarmi più lungamente per dimostrarle e convincerla che la mia non è, non vuol essere superbia, ma credo di essere stato già chiaro. Il resto s’intuisce. Perciò La prego di mandare qualcuno, possibilmente la stessa persona, a ritirare gli oggetti portati. Ringrazio di cuore Lei ed il Principale e distintamente per gli auguri alla mia Signora. Giuseppe Di Vittorio, 24 dicembre 1920.
“Peppino, non te ne dovevi andare, abbiamo ancora tanto bisogno di te”, gli diceva una donna salutandolo per l’ultima volta il 6 novembre 1957. E inevitabilmente ci troviamo oggi a pensare quanto ancora avremmo bisogno di persone e personalità come Giuseppe Di Vittorio.
“Io credo in voi giovani – diceva nel novembre del 1978 Sandro Pertini – Se non credessi in voi dovrei disperare dell’avvenire della Patria, perché non siamo più noi che rappresentiamo l’avvenire della Patria, siete voi giovani che con la vostra libertà, con il vostro entusiasmo lo rappresentate. Non badate ai miei capelli bianchi, ascoltate il mio animo che è giovane come il vostro. Voi non avete bisogno di prediche, voi avete bisogno di esempi, esempi di onestà, di coerenza e di altruismo”.
E noi abbiamo bisogno di voi. Per continuare a resistere. Perché la Resistenza continui. Perché la Resistenza continua. Nonostante tutto, nonostante troppo.