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Nell’immediato dopoguerra il contesto politico in Italia cambia radicalmente. Viene meno il patto che aveva sostenuto l’azione dei partiti antifascisti, i comunisti escono dal governo, sale la tensione internazionale. Nel Paese si acuiscono i conflitti sociali in un clima di contrapposizione politica sempre più acceso.
Nelle campagne cresce la protesta contadina che si manifesta con un imponente movimento per l’occupazione delle terre incolte e con duri scioperi bracciantili. Molte sono le vittime, a partire da Giuditta Levato, uccisa il 28 novembre 1946 in Calabria, mentre Portella della Ginestra (1947) inaugura la stagione delle stragi.
Giuditta Levato, 31 anni (era nata il 18 agosto 1915 ad Albi), contadina, prima vittima della mafia del latifondo in Calabria, viene colpita da un colpo di fucile quando è incinta di sette mesi del suo terzo figlio.
Prima di morire riuscirà a lasciare il suo testamento spirituale al senatore Pasquale Poerio che si era precipitato al suo capezzale:
Compagno, dillo, dillo a tutti i capi, e agli altri compagni che io sono morta per loro, che io sono morta per tutti. Ho tutto dato io alla nostra causa, per i contadini, per la nostra idea; ho dato me stessa, la mia giovinezza; ho sacrificato la mia felicità di giovane sposa e di giovane mamma. Ai miei figli, essi sono piccoli e non capiscono ancora, dirai che io sono partita per un lungo viaggio, ma ritornerò certamente, sicuramente. A mio padre, a mia madre, ai miei fratelli, alle mie sorelle, dirai che non voglio che mi piangano, voglio che combattano, combattano con me, più di me per vendicarmi. A mio marito dirai che l’ho amato, e perciò muoio, perché volevo un libero cittadino e non un reduce umiliato e offeso da quegli stessi agrari per cui ha tanto combattuto e sofferto. Ma tu, o compagno vai al mio paesello e ai miei contadini, ai compagni, dì che tornerò al villaggio nel giorno in cui suoneranno le campane a stormo in tutta la vallata.
Dirà a sua volta Pasquale Poerio durante un comizio tenuto qualche tempo dopo l’assassinio:
Forse o lavoratori, non avrei capito nella sua interezza il sacrificio di Giuditta Levato se non fossi venuto qui, a Calabricata. L’esser venuto qui, l’aver veduto le vostre case basse e affumicate, il vostro villaggio senza strade, i vostri bimbi senza niente sulla carne che li possa riparare dall’inverno, le vostre donne, i vostri uomini coperti solo di cenci, con su le facce i segni del lavoro e della fame, spettacolo terribile di miseria, mi ha fatto capire appieno il sacrificio della vostra compaesana che non appartiene più solo a voi, ma ai contadini di tutta la Calabria, a tutti i lavoratori della terra d’Italia. Lei, da quel mattino in cui esalava l’anima nello Ospedale civile di Catanzaro, apparteneva a tutto il movimento di redenzione della massa contadina della nostra provincia che, iniziatosi il 17 ottobre del 1944 nella zona dell’alto e medio Crotonese, doveva diventare il 17 settembre del 1946, un grande movimento al quale partecipavano 96 comuni con cinquantamila contadini. La prima vittima della nostra provincia, che doveva cadere sotto al piombo degli agrari, è nata qui in Calabricata, villaggio disperso nel basso Crotonese covo di duchi principi e baroni. E così accanto ad Argentina Altobelli, la figlia dei borghesi emiliani, combattente senza tregua per la causa della redenzione dei lavoratori della terra, siederà da oggi in poi Giuditta Levato, l’umile contadina calabrese che tutto sacrificò per la redenzione dei suoi fratelli, se stessa, la propria giovinezza, la propria famiglia. Di lei, della sua vita semplice poche cose si possono dire. Accade sempre così, quando si deve parlare dei martiri: modesti fuochi, che poi, inaspettatamente divampano, travolgendo se stessi ed altri e lasciandosi dietro una scia luminosa che segna il cammino da seguire (…) Ricordo, ricordo le tue parole: 'Compagno, dillo, dillo a tutti i capi, e agli altri compagni che io sono morta per loro, che io sono morta per tutti (…)’. Ed io, o lavoratori di Calabricata, sono venuto. Ho mantenuto la promessa e sono con voi. Ho veduto le vostre case basse, affumicate e piene di miseria. Ho veduto i vostri bimbi scalzi e pieni di fame. Ho capito perché Giuditta Levato si è sacrificata. Ho veduto le vostre pagliaie, questo cumulo di catapecchie senza un cimitero e senza una fontana ed ho veramente compreso le ultime lacrime di Giuditta Levato, sul letto di morte. Ma la vendicheremo! E quando, nuovamente suoneranno a stormo le campane, per dire che l’ora della riscossa finalmente è venuta, questo piccolo borgo senza strade, diventerà il centro ideale di tutti i lavoratori d’Italia.
Un piccolo borgo senza strade come tanti ancora esistono nel nostro meridione, nella nostra Calabria. La Calabria di Giuditta Levato e Peppe Valarioti, di Tommaso Campanella e Rino Gaetano.
Ad esempio a me piace la strada
Col verde bruciato, magari sul tardi
Macchie più scure senza rugiada
Coi fichi d'India e le spine dei cardi
Ad esempio a me piace vedere
La donna nel nero, nel lutto di sempre
Sulla sua soglia tutte le sere
Che aspetta il marito che torna dai campi