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Il 16 settembre del 1944 la mafia, durante un comizio a Villalba, feudo di don Calò Vizzini, colpisce e ferisce Girolamo Li Causi, segretario regionale del Pci. “Fu quello il mio primo bagno nella mafia del feudo, la mafia che aveva le terre in affitto”, ricorderà anni dopo Emanuele Macaluso, quel giorno presente.
Così Eugenio Scalfari in un celebre articolo de L’Espresso ricostruiva nel 1956 il clima di quel pomeriggio: “Gli uomini del camion avrebbero voluto cominciare subito, ma non avevano messo in conto il suono delle campane: l’arciprete di Villalba, fratello di don Calogero, cominciò a suonare a distesa: impossibile parlare. Passò quasi un’ora: gli uomini aspettavano nervosi, le campane assordavano la piazza, don Calogero fumava. Finalmente il suono finì e il comizio poté cominciare”.
Antifascista condannato a ventun anni di carcere, partigiano, segretario regionale del Pci, deputato all’Assemblea costituente, senatore e vicepresidente della prima Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno mafioso, Girolamo Li Causi farà della lotta alla mafia il tratto distintivo del suo impegno politico e istituzionale.
La vicenda della strage di Portella della Ginestra, avvenuta il 1° maggio 1947 per opera della banda di Salvatore Giuliano, è da questo punto di vista emblematica.
Li Causi sarà probabilmente l’uomo politico più direttamente impegnato sulla strage di Portella, denunciandola all’opinione pubblica e seguendone gli sviluppi. Il numero uno del Pci isolano avanzerà durissime accuse anche alle forze di polizia - denunciando i loro legami con mafiosi e separatisti - e al ministro Mario Scelba, più volte accusato di essere direttamente implicato nella vicenda.
“Perché avete fatto uccidere Giuliano? - tuonava alla Camera dei deputati nella seduta del 26 ottobre 1951 - Perché avete turato questa bocca? La risposta è unica: l'avete turata perché Giuliano avrebbe potuto ripetere le ragioni per le quali Scelba lo ha fatto uccidere. Ora aspettiamo che le raccontino gli uomini politici, e verrà il tempo che le racconteranno”.
Onorevoli colleghi - affermava alla Assemblea costituente nella seduta del 15 luglio 1947 - non è la prima volta che ci occupiamo della Sicilia e credo che non sarà nemmeno l’ultima ed è un bene; perché il processo di chiarificazione che è in corso, determinato appunto dall’azione delle masse, deve essere condotto fino in fondo, ed è necessario che tutto il paese segua, aiuti, intervenga in questo processo di chiarificazione nella nostra Isola. Se è vero che in Sicilia recentemente, fatto credo unico finora nella storia, è intervenuto in visita ufficiale l’ambasciatore degli Stati Uniti, che ha preso contatto col Governo regionale, ha concesso interviste, fatto delle dichiarazioni, esortato il popolo siciliano a guardarsi dal rinunciare alla libertà individuale; se è vero che l’Isola, ha una particolare importanza strategica, ci rendiamo conto come sia indispensabile che tutto il Paese, posto continuamente in sussulto da campagne di stampa sugli avvenimenti siciliani, in base a notizie deformate, esagerate o minimizzate secondo il punto di vista degli interessi, abbia la conoscenza esatta di quella situazione, chiarisca le responsabilità e soprattutto si renda conto di una situazione che nella sua sostanza è semplicissima, ma che è infinitamente complessa, complicata com’è per collusioni e legami intimi che sussistono, sulla base della struttura sociale della Sicilia, tra vita politica, mafia e banditismo. Ecco perché, dicevo, non ci deve dispiacere se serenamente noi portiamo il problema della Sicilia dinnanzi all’Assemblea: gli ultimi avvenimenti dolorosissimi, i fatti di Pian della Ginestra e le aggressioni del 22 giugno, hanno commosso l’opinione pubblica mondiale; necessario è perciò che si sappia quali sono le origini di sì efferati delitti, di queste manifestazioni esplosive di un male che non può essere che profondo e non può essere addebitato alla malvagità del singolo, anche se questa malvagità concorre poi nella efferatezza del delitto. Ogni tanto l’opinione pubblica nazionale ed internazionale è turbata o commossa per una di queste esplosioni. Poi, come se tutto finisse, nessuno si preoccupa di andare alle radici del male.
E alle “radici del male” Li Causi andrà per tutta la vita.
“Anche se in questi ultimi anni si era ritirato dall'attività politica - scriveva Leonardo Sciascia poco dopo la sua morte - senza retorica possiamo dire che la sua morte segna una perdita insostituibile, una pena che si aggiunge alla pena: quella per l’amico che non c’è più, quella per l’uomo che ci ha dato una delle più grandi e durevoli lezioni di vita morale”.