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550 mila giovani hanno lasciato l’Italia negli ultimi 13 anni, dal 2011 al 2023, per emigrare all’estero. Al netto di quanti sono rientrati, siamo a quota 377 mila espatriati. È come se in 13 anni una città come Firenze composta da under 34 fosse rimasta disabitata. Il valore perso, in termini di capitale umano, è pari a 134 miliardi di euro. Si tratta di stime che vanno comunque considerate nettamente inferiori alla realtà, visto che in tanti aspettano prima di spostare la residenza.
Mentre il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ribadisce che “investire sui giovani rappresenta il futuro, i dati del rapporto “I giovani e la scelta di trasferirsi all’estero”, realizzato dalla Fondazione Nord Est, confermano una tendenza che non si è mai fermata, e che è ripartita dopo il calo del 2021 e 2022, passata la pandemia.
Il governo rema contro
“Dopo il Covid il fenomeno della fuga dei giovani è ripartito con più forza – afferma Gianluca Torelli, responsabile politiche giovanili della Cgil -. Ad andare via sono i talenti del Paese, per la cui formazione l’Italia ha speso tantissime risorse. È un impoverimento del tessuto culturale, sociale e produttivo e della nostra competitività. Nonostante ciò, c’è un totale disinteresse del governo”.
Che anzi rema contro il “rientro” dei cervelli. “La legge di Bilancio all’articolo 29 ha eliminato la disoccupazione prevista per i rimpatriati – riprende Torelli -, un’indennità di sei mesi per chi ha lavorato all’estero e decideva di tornare in Italia dopo la scadenza del contratto: un paracadute che al rientro ha consentito a 8-9 mila persone all’anno di cercare lavoro con un margine di serenità. Ecco, l’unica misura esistente è stata cancellata”.
Emigrazione dal ricco Nord
Questa nuova emigrazione è analoga a quelle del passato per la dimensione quantitativa, ma è diversa per la qualità: il contesto demografico è senza precedenti, con una natalità ai minimi storici, le partenze avvengono dalle regioni più ricche del Nord, e in più se ne vanno persone molto istruite. La quota di laureati sul totale dei giovani emigrati dal Settentrione è stata del 48 per cento nel 2022, salita dal 41 che era nel 2021 e dal 36 nel 2019. Sono numeri che raccontano come l’Italia stia perdendo la sfida più importante di tutte, ovvero quella per il capitale umano.
Italia poco attrattiva per i giovani
Per i ricercatori della Fondazione, la favola bella in cui molti politici e studiosi si cullano, e cioè che questo fenomeno altro non è se non la partecipazione normale dell’Italia alla circolazione delle persone tra le aree avanzate dell’Europa, è dissolta dai crudi e freddi numeri.
Lo scambio con gli altri Paesi, infatti, è diseguale. A fronte di nove under 34 che se ne vanno, arriva solo uno straniero. Ci piazziamo all'ultimo posto per attrazione dei giovani, accogliendo solo il 6 per cento di europei, contro il 34 per cento della Svizzera e il 32 della Spagna.
Secondo le due indagini demoscopiche realizzate dalla Fondazione, per ascoltare i giovani residenti nel Nord e per avere l’opinione degli espatriati, un terzo degli under 34 si dice pronto a partire e solo il 16 per cento di chi è all’estero pensa di tornare, per lo più per ragioni familiari.
Perché dovrebbero altrimenti? Oltre nove su dieci pensano di avere maggiori possibilità di realizzazione lavorativa lì dove sono, oltre otto su dieci più possibilità di realizzazione personale. D’altro canto, il 35 per cento dei giovani residenti nel Nord è pronto a trasferirsi all'estero. Tra le motivazioni principali, le migliori opportunità lavorative, le opportunità di studio e formazione, la ricerca di una qualità della vita più alta, il salario più elevato.
Salari e welfare
“L’Italia ha un problema di attrattività, è il Paese che viene scelto meno ed è per questo che servirebbe un piano, intervenendo in primo luogo sul livello dei salari con un percorso che veda il coinvolgimento delle parti sociali - prosegue Torelli –. Dai dati della Fondazione emerge che il salario è uno degli elementi più importanti. E se mettiamo insieme le recenti ricerche possiamo affermare i per i lavori più qualificati i salari in Europa sono più alti della media italiana. Bisogna quindi farli crescere. Poi c’è un altro fattore fondamentale, la qualità della vita oltre il lavoro. La molla principale che spinge le persone ad andare all’estero è rappresentata dalle condizioni di vita, la qualità dell’ambiente, il trasporto pubblico, il welfare”.
Gli espatriati stanno meglio
D’altra parte chi è espatriato si dichiara soddisfatto del proprio livello di vita, ha una visione del futuro nettamente positiva e aspetta un domani felice in percentuali nettamente superiori rispetto ai giovani rimasti in Italia, per i quali prevalgono le visioni negative: futuro incerto, pauroso, povero e senza lavoro.
E gli ampi divari di opinioni discendono da significative differenze dalle condizioni professionali attuali: quasi l’80 per cento degli espatriati è occupato, contro il 64 dei giovani che risiedono nel Nord, tra i primi il tasso di disoccupazione è del 4,2 per cento, contro il 12,5 dei secondi.