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Oggi, domenica 7 aprile, è la Giornata mondiale della salute. Come ogni anno un appuntamento importante, per ricordare il diritto alla sanità e alle cure di tutte le cittadine e i cittadini. Ma per l’Italia la situazione non è rosea, anzi è molto negativa, e rischia di peggiorare ancora nei prossimi anni: mancanza di risorse per il servizio sanitario nazionale, gravi diseguaglianze, lavoratori allo stremo. Sono solo alcuni fattori che lanciano l’allarme nel nostro Paese, complice un governo che fa solo annunci e non dice la verità. Bisogna subito cambiare rotta. Per l’occasione abbiamo fatto il punto con la segretaria confederale della Cgil, Daniela Barbaresi.
Italia in forte emergenza
Partiamo dallo slogan della Giornata: My healt, my right, ovvero “La mia salute, il mio diritto”. “Non si tratta solo di come curarsi – esordisce Barbaresi -, ma la questione è garantire il benessere complessivo delle persone e dei cittadini, che deve essere certo per tutta la comunità. In tal senso è molto significativo l’appello di 14 scienziati, tra cui premi Nobel, che hanno lanciato un monito per salvare il servizio sanitario nazionale, a tutela del diritto alla salute, e non solo: considerano la sanità proprio come elemento di coesione sociale”. In Italia arriviamo all’appuntamento “in uno stato di forte emergenza”, riflette la segretaria: "I temi sono noti, lo ripetiamo da tempo: c’è la questione dei tempi di attesa insostenibili, la difficoltà di accesso ai servizi, i profondi divari che si allargano tra Nord e Sud, centro e periferia, città e aree interne”.
Allarme diseguaglianze
Dunque la questione delle diseguaglianze: “Queste si traducono in elevate differenze nell'aspettativa di vita: basti pensare che tra Campania e Alto Adige c’è una differenza di tre anni. Arriva poi la rinuncia alle cure: quattro milioni di cittadini rinunciano a curarsi, segnando così un’ulteriore differenza tra ricchi e poveri. In altri termini, chi può pagare si cura, chi non può è costretto a rinunciare”.
Le bugie del governo
In tale scenario le risorse sono assolutamente insufficienti: “Il tema è stato appena ripreso dalla Corte dei Conti, confermando che il servizio sanitario nazionale diventa insostenibile se non vengono garantiti i soldi necessari”. Del resto gli stessi scienziati quantificano un obiettivo a cui arrivare in tempi brevi: almeno l’8% del Pil deve essere dedicato alla sanità pubblica, che significa 35-40 miliardi in più rispetto ad oggi. “Una cifra neanche lontanamente paragonabile ai numeri del governo, che nel 2024 ha stanziato tre miliardi, annunciandolo come un grande risultato; così non si copre neanche l’inflazione. Quei soldi andrebbero destinati solo ai rinnovi contrattuali dei lavoratori. Già quest’anno, poi, le Regioni avranno a disposizione molte risorse in meno rispetto al 2023”. A proposito, col decreto Pnrr il governo ha tagliato 1,8 miliardi sul capitolo salute e le prime vittime sono proprio le Regioni, le quali hanno minacciato di ricorrere alla Corte Costituzionale.
Il pubblico arretra
Se il problema principale è quello delle risorse, intanto il pubblico arretra. Così Barbaresi: “Occorre adeguare i finanziamenti al bisogno di salute dei cittadini e del Paese. Il settore pubblico sta andando all’indietro: la Corte dei Conti fa un confronto impietoso con gli altri Paesi europei”. I dati parlano da soli, raccontando di tempi di attesa insostenibili: per una visita cardiologica si aspetta fino a 400 giorni, per una neurologica fino a 300 giorni, per una ginecologica fino a 270 giorni. Questo quando le prestazioni vengono garantite, in molti casi le liste di prenotazioni risultano bloccate. “Sono numeri drammatici – per la sindacalista –, destinati a peggiorare con il progetto di autonomia differenziata del governo. Vista la situazione, i cittadini che possono sono costretti a rivolgersi altrove, tanto che la spesa sanitaria privata è arrivata a 40 miliardi di euro l’anno”.
Il valore di lavoratrici e lavoratori
Va detto chiaro e tondo: “Se il servizio viene garantito è grazie al valore del personale. C’è dietro il sacrificio e il senso di responsabilità di operatrici, operatori, medici e infermieri”. Tornando all’esecutivo, invece, la bocciatura è netta: “Governo e ministri fanno annunci e promesse, spesso infarcite di bugie e arroganza. Hanno detto che il Fondo sanitario nazionale tocca livelli mai raggiunti, ma questo è ovvio, ogni anno con l’inflazione viene incrementato altrimenti sarebbe un taglio. Bisogna davvero invertire la rotta e garantire il diritto alla salute delle persone”.
Le occasioni perse
In tutto ciò i treni passano e non saliamo a bordo. Riflette Barbaresi: “Si perdono occasioni, ne cito due: il Pnrr e la riforma sulla non autosufficienza. Il Pnrr andava nella direzione giusta, cioè parlava del rapporto tra ospedale, territorio e domicilio, ma poi non c’è stata alcuna coerenza in termini di risorse e non c'è stata una visione diversa nell’organizzazione della sanità, investendo sul territorio e sull’integrazione sul sociale. Ricordiamo che c’è un aspetto che solo il pubblico può garantire: la presa in carico. Mentre il privato investe sulla malattia ed eroga prestazioni, è il pubblico che deve offrire prevenzione”. Sulla non autosufficienza: “Anche qui abbiamo i bisogni che crescono, anche qui la maggioranza non stanzia un euro e finisce per allargare i divari”.
Il 20 aprile in piazza
Nel frattempo aumenta lo schieramento della protesta. “Sta crescendo un fronte a tutela del diritto alla salute – dice Daniela Barbaresi -. Ora è necessario che si allarghi arrivando a toccare direttamente le persone, per invitarle alla mobilitazione. Noi come Cgil abbiamo lanciato una grande manifestazione con la Uil per sabato 20 aprile: un appuntamento fondamentale per mobilitarsi tra i cittadini e portare la discussione anche tra la gente comune”. Obiettivo una sanità pubblica accessibile a tutti: “Bisogna recuperare lo spirito che portò alla legge 833 del 1978 – conclude –, quella che liberava la sanità dalle gabbie delle mutue e dalla logica del rimborso della malattia in favore della presa in carico. Una sanità, infine, che deve essere sostenuta dalla fiscalità generale, cioè da un fisco che sia davvero equo e progressivo”.