La Repubblica italiana è fondata sul lavoro, ma non per tutti. Gli uomini e le donne portatori di disabilità hanno diritto a un lavoro dignitoso ma difficilmente riescono a ottenerlo. E quando trovano un impiego - quasi sempre - non corrisponde al livello di istruzione e formazione raggiunto. È retribuito meno rispetto ai colleghi, e per le donne va anche peggio.

La giornata internazionale

La giornata internazionale delle persone con disabilità è un bel titolo, ma oltre quello c’è poco. È stata istituita dalle Nazioni Unite nel 1981 con l’obiettivo di promuovere il benessere e i diritti delle persone con disabilità. Dopo decenni di lavoro, l’Onu ha adottato la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità: gli Stati sono caldamente invitati ad adottare tutte le misure necessarie per dare attuazione alla Convenzione, soprattutto all’articolo 9 quello che indica la necessità di costruire le condizioni affinché le persone con disabilità possano costruirsi una vita indipendente e autonoma. Allora il lavoro è (o sarebbe) indispensabile. Ma non finisce qui, perché anche l’Agenda 2030 per lo Sviluppo sostenibile ha tra i suoi obiettivi che nessuno venga lasciato indietro.

Bilancio impietoso

Il bilancio in Italia è impietoso, a cominciare dal diritto alla salute. Il nostro sistema sanitario fa acqua da tutte le parti, il governo Meloni, non sono definanzia la sanità, ma prevede di continuare a farlo nei prossimi tre anni, fino ad arrivare sotto la soglia del 6% sul Pil. E le prestazioni che eroga sono differenziate a seconda della regione dove si vive. Un esempio? Una malata di Sla che abita a Roma ha la fortuna di vedersi garantita l’assistenza di operatrici e operatori sociosanitari per 10 ore al giorno, tutti i giorni, più assistenza infermieristica e medica a domicilio. In altre regioni non è così, e forse non lo è nemmeno in alcuni distretti sanitari della Capitale. E chissà cosa potrebbe succedere con l’autonomia differenziata.

I numeri della disabilità

Nel nostro Paese sono quasi 13 milioni le persone con disabilità, 3 milioni con disabilità grave. Ma il Rapporto sulla disabilità e lo sviluppo 2024, che le Nazioni Unite hanno pubblicato in occasione di questo 3 dicembre, ci dice che non stiamo messi bene. Secondo l’Onu, i progressi sono insufficienti sul 30% degli obiettivi, mentre sono fermi o addirittura arretrati sul 14%.

Persone con disabilità senza lavoro

Lavorare è un diritto, costruire le condizioni per l’autonomia degli uomini e delle donne con disabilità è un dovere degli Stati. Da noi la situazione è quasi tragica. Eppure, abbiamo una legge, la 68 del 1999, “fatta apposta” per favorire l’ingresso nel mondo del lavoro. C’è infatti l’obbligo per le aziende con più di 15 dipendenti di assumere personale tra i portatori di disabilità, pena multe salate. Ma la situazione non si sblocca. L’ultima Relazione sullo stato di attuazione, pubblicata nella primavera scorsa, attesta che solo il 32% dei disabili lavora, percentuale che rimane quasi costante nel corso degli anni.

La Relazione afferma inoltre che gli iscritti all’elenco del collocamento obbligatorio per le persone con disabilità sono state 794.937 nel 2020, 774.507 nel 2021, e le iscritte sono meno degli iscritti. Tra l’altro, si ricorre sempre di più a rapporti di lavoro a tempo determinato, il lavoro è sempre poco qualificato, le persone con disabilità sono sempre assunte nei profili più bassi, in controtendenza con l’aumento della professionalità e dei titoli di studio. Per loro è praticamente impossibile fare carriera. Se non sono pregiudizi e discriminazioni queste, cosa lo è?

Desiderio di lavoro

La stessa Relazione illustra che il desiderio di lavoro c’è, anzi aumenta. A cercare lavoro nel 2009 era il 13% delle persone con disabilità, mentre nel 2021 sono stati il 20%. Purtroppo, all’aumento di chi cerca lavoro non corrisponde un aumento di occupati. Ma se vogliamo tornare alle discriminazioni, occorre domandarsi per quale ragione gli occupati sono il 36,6% degli uomini e il 26,7% delle donne. Non solo, il differenziale salariale colpisce tutti, ma le donne di più.

Un salto culturale

“Serve un salto culturale”: a dirlo è Valerio Serino, responsabile dell’Ufficio politiche per il lavoro e l’inclusione delle persone con disabilità della Cgil: “Abbiamo necessità di un vero e proprio cambio culturale, abbiamo bisogno di rivalutare il lavoro non solo come mera fonte di produzione ma anche come fattore sociale e d’inclusione. Servono risorse congrue, investimenti mirati, bisogna ricostruire i centri per l’impiego, punto cardine per un inserimento mirato e di successo”.

Fatti non parole

Di parole la ministra Locatelli ne ha spese molte, le ha anche messe nero su bianco poche settimane fa in Umbria, dove si è celebrato il G7 sulla disabilità. Uno dei punti centrali della Carta di Solfagnano, firmata dai ministri, è proprio il lavoro. Si tratta del punto tre degli otto della Carta, quello dal titolo “Vita autonoma e indipendente”. Ma come si traduce in italiano? Con quali politiche, con quali risorse s’intende promuovere il lavoro delle persone con disabilità? Al momento la risposta è: nessuna. Perché nulla è previsto nella manovra di bilancio per l’ingresso nel mercato del lavoro degli uomini e delle donne con disabilità.

Rischio povertà

Nel nostro Paese quasi una persona con disabilità su tre è a rischio di povertà o di esclusione sociale, e circa un quinto è in condizione di grave deprivazione materiale. Allora la preoccupazione aumenta, perché il governo Meloni, sempre in manovra, ha ulteriormente tagliato i fondi per gli Enti Locali. Siccome la spesa per le politiche in favore delle persone con disabilità è già inadeguata, e il modello di welfare italiano è caratterizzato da una carenza strutturale dei servizi territoriali, cosa succederà dal primo gennaio 2025?

Una giornata non è sufficiente

Serve, certo che serve, la giornata delle persone con disabilità. Serve a fare bilanci e a misurare avanzamenti o arretramenti. Serve a richiamare l’attenzione sui diritti negati e sullo spreco che la società compie non includendo e non rendendo autonome attraverso il lavoro anche le donne e gli uomini con disabilità. Serve, ma non è sufficiente. Lo ricorda Serino: “L’effettiva parità è ancora un traguardo da raggiungere, le discriminazioni esistono ancora, e dipendono da barriere fisiche e mentali esistenti che precludono la piena realizzazione nella vita. Questa è la sfida che la Cgil ha intrapreso da anni: lottare contro le ingiustizie, diffondere un cambio culturale, sostenere e proporre soluzioni concrete per una piena inclusione ad ogni livello. Per tutte le lavoratrici e i lavoratori, le cittadine e i cittadini con disabilità, e per le loro famiglie”.