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Gino (all’anagrafe Luigi) Strada, medico, si laurea in Medicina e Chirurgia presso l’Università Statale di Milano e si specializza in Chirurgia d’Urgenza. Nel 1988 decide di applicare la sua esperienza all’assistenza dei feriti di guerra lavorando con la Croce Rossa Internazionale di Ginevra in Pakistan, Etiopia, Tailandia, Afghanistan, Perù, Gibuti, Somalia, Bosnia), attivista, filantropo, scrittore, fondatore insieme alla moglie Teresa Sarti di Emergency - ci lasciava il 13 agosto del 2021, esattamente un anno fa.
“Amici – scriveva il giorno della sua morte la figlia Cecilia su Facebook – come avrete visto il mio papà non c’è più. Non posso rispondere ai vostri tanti messaggi che vedo arrivare, perché sono in mezzo al mare e abbiamo appena fatto un salvataggio. Non ero con lui, ma di tutti i posti dove avrei potuto essere beh, ero qui con la ResQ - People saving people a salvare vite. È quello che mi hanno insegnato mio padre e mia madre. Vi abbraccio tutti, forte, vi sono vicina, e ci sentiamo quando possiamo”.
“Un caro amico – dirà di lui don Ciotti – un lottatore, un uomo che ha vissuto non solo per sé ma per gli altri. Consapevole che il «bene» non è mai passivo o neutrale, che ogni vero bene è figlio del costruire giustizia”, portando - nelle parole del presidente della Repubblica Sergio Mattarella - “le ragioni della vita dove la guerra vuole imporre violenza e morte”, invocando “le ragioni dell’umanità dove lo scontro cancella ogni rispetto per le persone”.
“Un partigiano dell’umanità”. “Un leader naturale”, nella bella definizione di Marco Damilano. “Un obiettore totale e insieme un combattente, tenace, fiero, indomabile. Era da una parte sola: le persone in carne, ossa, sangue. Ferite da asciugare, piaghe da ripulire. I corpi da salvare. E lo strazio dell'anima che non sarà sanato mai. Gli inermi, gli innocenti, le vittime civili e indifese dei bombardamenti chirurgici, dei cinismi di Stato, delle opinioni pubbliche da manipolare. Essere da quella parte non significava fare l'anima bella o la pura testimonianza, ma fare politica, nella forma più radicale”.
“Credo - diceva Gino in una intervista - che bisognerebbe smettere di parlare di pace perché troppo generico. Troppo persone sono per la pace ma non vanno oltre, non concretizzano il pensiero che hanno. Se si vuole la pace va fatta una cosa molto semplice: capire cosa è la guerra e toglierla dalla nostra storia. Abolire la guerra è il primo passaggio per avere un mondo in pace, finché esisterà questa opzione violenta è inevitabile, come dimostrano le cronache, che molti vi ricorrano”.
“Una promessa - scriveva in Pappagalli verdi - è un impegno, è il mettersi ancora in corsa, è il non sedersi su quel che si è fatto. Dà nuove responsabilità, obbliga a cercare, a trovare nuove energie (… ) Spero che si rafforzi la convinzione che le guerre, tutte le guerre sono un orrore. E che non ci si può voltare dall’altra parte, per non vedere le facce di quanti soffrono in silenzio”.
“Che cosa vuol dire guerra? – si e ci chiedeva, attraverso le pagine del libro Buskashì. Viaggio dentro la guerra –. Come si sta a viverla? Che cosa si pensa, quando la si vive? Che cosa si prova, dentro la guerra? Quali miserie, quali angosce, come si trema durante la guerra? Proviamo a guardare alla realtà di chi ne viene coinvolto, proviamo a passare il confine. Proviamoci. Non dico a sperimentare la guerra sulla nostra pelle - non sono così masochista -, ma almeno a cercare di capire la guerra. Cominciamo ad ascoltarne le storie, che sono storie di uomini, le nostre storie. Credo che conoscerle sarebbe sufficiente, a quasi tutti noi, per cambiare idea sulla guerra. Storie vere, non manipolate, la storia di Jamila e quella di Waseem che hanno perso tre figli e che sono rimasti l'una senza una gamba e l'altro senza gli occhi. Proviamoci. Dopo, forse, potremo parlare di guerra a buon diritto, e quasi certamente ne parleremo in modo diverso. Perché non si tratterà più di essere musulmani, ebrei o cristiani, né di essere di destra, di centro o di sinistra, per farsi un'opinione sulla guerra. Basterà ricordare quelle storie, e mettere Anna al posto di Jamila, e Mario invece di Waseem. Ciascuno di noi ha il suo Mario e la sua Anna, comunque si chiamino. Questo è il vero confine, quello più difficile da attraversare. Fare propria, rispettare l'esperienza degli altri, quello che stanno provando, non ignorarla solo perché riguarda "altri" anziché noi stessi. Perché se uno di noi, uno qualsiasi di noi esseri umani, sta in questo momento soffrendo come un cane, è malato o ha fame, è cosa che ci riguarda tutti. Ci deve riguardare tutti, perché ignorare la sofferenza di un uomo è sempre un atto di violenza, e tra i più vigliacchi”.
Il fondatore di Emergency si vantava di avere in tasca solo due tessere. Una era quella dell’Anpi. “È un gravissimo lutto per tutti, un lutto senza confini come era senza confini la sua missione di uomo e di medico al servizio dell’umanità. La vita di Gino Strada è stata interamente dedicata alla prossimità e alla cura dei sofferenti, senza alcuna distinzione. Il suo vero nemico era la guerra e la sua inumana insensatezza, eppure è limitativo definirlo un pacifista. Fiero rappresentante di un’altra idea di umanità, Gino faceva della fratellanza e dell’impegno per i diritti umani non degli astratti principi ma una missione civile, una pratica quotidiana, un senso compiuto del vivere. Gino è stato un gigante del nostro tempo, un antifascista attivo, conseguente e intransigente. La sua improvvisa scomparsa ci lascia nello sgomento e nel dolore. A Cecilia, ai suoi familiari vada l’abbraccio affettuosissimo mio e di tutta l’Anpi”. Così in una nota il presidente dell’Associazione nazionale partigiani, Gianfranco Pagliarulo, esprimeva il suo cordoglio e quello di tutta l'associazione. L'altra era quella onoraria della Fiom Cgil, che gli era stata consegnata nel 2004 a Livorno.
“Grazie (…) – diceva quel giorno Gino dalla tribuna – per le vostre lotte per i diritti di tutti grazie alla Fiom di esistere e di resistere, grazie perché per me voi rappresentate uno dei pezzi più importanti di quel che è rimasto di democrazia in questo paese e, nello stesso tempo, rappresentate anche una delle speranze più importanti, cioè che in futuro si possa finalmente tornare a dare un senso alla parola 'democrazia', che appare sempre più vuota”.
Grazie a te Gino.
Per tutto quello che sei stato.
Per tutto quello che ancora sei.
Per tutto quello che ancora sarai.
Sempre con coraggio, continuiamo a essere trafficanti di sogni, vergava nel 2013 sulla prima pagina della sua agenda don Gallo, di Gino Strada caro amico.
Continuiamo a essere trafficanti di sogni. Anche oggi, soprattutto oggi.