Puntata n. 13/2024 – Settimana di sangue sul lavoro. Come tutte le altre. Ogni giorno nel nostro Paese muoiono tre lavoratori. Una regola che non ammette deroghe

Strage continua

Settimana di sangue sul lavoro. Come tutte le altre. Ogni giorno nel nostro Paese muoiono tre lavoratori. Una regola che non ammette deroghe. Mercoledì tre giovani militari della Guardia di Finanza sono caduti nel precipizio degli Asteroidi, in provincia di Sondrio. Lunedì a morire sono stati tre autotrasportatori, due in uno scontro frontale tra tir in provincia di Verona, uno schiacciato dalla sponda del proprio camion in una segheria del Trentino. Martedì nel pavese un operaio si è accasciato al suolo stroncato da un malore mentre stava trasportando carichi pesantissimi. In quelle stesse ore un uomo è precipitato da un’impalcatura in un cantiere del cosentino, un altro dal tetto di un capannone nel pesarese. Nord, centro, sud, isole, notte e giorno, che siano cantieri, fabbriche, campagne, strade, militari in esercitazione, operai, braccianti, camionisti. Le persone muoiono perché sui luoghi di lavoro vale più il profitto che il rispetto della vita. Perché non c’è legge che si rispetti più di quella che impone ai lavoratori di correre per non perder tempo. Che il tempo è denaro. E il costo sociale e umano di questa mattanza non disturba i margini.

Oltre 300mila firme per un lavoro sicuro

Uno dei quattro quesiti referendari con cui la Cgil vuole cambiare il mondo del lavoro è dedicato proprio alla sicurezza. Sono oltre 300mila le firme già raccolte dal sindacato in questo primo mese, tra chi ha aderito ai banchetti e chi online. In fila per aderire alla battaglia del Quadrato Rosso ci sono le persone che chiedono un cambiamento. Lavoratrici e lavoratori, chi è in pensione e chi esercita responsabilità pubbliche. Sindaci, assessori, parlamentari. Ma anche personalità della cultura, del mondo accademico, dell’arte, la musica, la letteratura, lo spettacolo. Perché il lavoro è un bene comune e come tale va difeso.

Cinepanettone indigesto

Il siparietto boccaccesco tra Meloni e De Luca è il preludio di un finale elettorale che più trash non si può. Il sassolino del direttore di Collettiva, Stefano Milani

In guerra, in amore e in campagna elettorale tutto è permesso. Anche autoproclamarsi stronza a favore di social e telecamere fregandosene del ruolo e del suo rinomato bon ton. Ed è subito set dei Vanzina. Una scena epica quella tra il governatore indisponente e la presidente de’ noantri. Cinepanettone dal finale boccacciano. Roba che al confronto il leggendario karaoke di Salvini, nudo e ubriaco al Papete, è un trattato di filologia romanza. L’assuefazione al peggio non è mai abbastanza. L’ormone impazzito di Bandecchi, gli spot elettorali di impresentabili neurodeputati, Perfino il Papa che omaggia Lino Banfi. La politica imprigionata dentro una vignetta di Osho. Trepidante l’attesa per il remake. Con De Luca che ricambia la cortesia istituzionale recandosi in visita a Palazzo Chigi. Si avvicina alla premier e con aria un po’ guascona le sussurra: “Sai chi ti saluta?”.

A Ventimiglia la promessa di accoglienza diventa uno sgombero

La prefettura di Imperia ha ordinato l’evacuazione dei migranti dalla tendopoli lungo gli argini del fiume Roya, ma ancora non esiste il centro umanitario da 300 posti annunciato un anno fa dal ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi. La decisione dello sgombero è stata motivata con la diminuzione dei flussi migratori e quindi delle presenze. La Cgil di Imperia, impegnata nel supporto dei migranti al confine, spiega che i flussi possono cambiare rapidamente in relazione alle politiche decise da Parigi. In questo momento le maglie si sono allargate, quindi si è passati dagli 80 respingimenti al giorno a 10-12, motivo per il quale le persone riescono a passare la frontiera e la presenza di migranti a Ventimiglia diminuisce. Non viene però calcolato che quando il governo francese avrà di nuovo bisogno di fare azioni eclatanti, la frontiera si richiuderà…per approfondire collettiva.it.

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